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Destra Sociale

Nell’ambiente della politica, per solito, si sprecano gli slogan, ma c’è un vuoto preoccupante di definizioni: cosa voglia dire essere di destra o, meglio, cosa significhi destra e, segnatamente, destra sociale, di solito è materia emotiva, fisicamente percepibile, ma raramente giustificata dalle opportune spiegazioni razionali. Insomma, essere un uomo di destra, mercè il retaggio delle lotte politiche degli anni Settanta e Ottanta, è diventato sinonimo di una scelta empatica, di un istintivo schierarsi, piuttosto che di un modo di fare politica, di una Weltanschauung, di un’impostazione morale.

Invece, la destra ha alle sue spalle una lunga storia, che sarebbe meglio riassumere brevemente. Potremmo dire, in estrema sintesi, che, superato il concetto ottocentesco di destra storica aristocratica e terriera, in contrapposizione con una sinistra storica legata a doppio filo all’industria e alla finanza, l’idea di uomo di destra, modernamente inteso, nasca all’inizio del ‘900, con il cosiddetto personalismo, con il pragmatismo individualista dei vari Papini, Prezzolini, Vailati: una destra vagamente nicciana, rivoluzionaria senza rivoluzione, elitaria in senso soreliano. Fu la Grande Guerra a fornire a questa destra la propria ragion d’essere, fondendone le velleità rivoluzionarie e futuriste con quella che allora si chiamò “aristocrazia della trincea”: una classe umana temprata dalla guerra e ben decisa a difendersi dal bolscevismo e a difendere l’Italia dalla minaccia rossa. Con il fascismo, questa congerie disordinata di nazionalisti, anarcoindividualisti, sindacalisti nazionali, reducisti, arditi e dannunziani, si riunì, nell’idea comune della Nazione: il fascismo fu un regime etnolatrico, in cui il movimento fascista, a poco a poco, incarnò il concetto stesso di Nazione e, in subordine, di Stato. Tuttavia, fin dal discorso di San Sepolcro, atto di fondazione del fascismo, all’interno di questo movimento convivevano due anime: quella borghese e quella rivoluzionaria, o, se preferite, quella statale e quella sociale. Non a caso, il fascismo delle origini rivendicò la sua carica antiborghese, mentre il regime si borghesizzò ampiamente, in ispecie dopo la cosiddetta “infornata del Decennale”. Il messaggio sociale della corrente rivoluzionaria fascista era semplice: partecipazione alla produzione ed ai suoi utili e corporativismo.

Questa corrente, naturalmente invisa ai poteri forti dell’economia, sopravvisse per tutto il Ventennio, mantenendosi in una posizione subordinata, ma raccogliendo molti consensi, specialmente tra i più giovani. L’anima sociale del fascismo riemerse prepotente nel periodo della RSI, quando, però, era troppo tardi per un’inversione di rotta. Ciò nonostante, vi furono numerosi tentativi da parte di Salò di realizzare il programma sociale che, nato con lo squadrismo diciannovista, era stato ripreso nella rifondazione di Castelvecchio; inutile dire che, in uno stato ad autonomia fortemente limitata, come la RSI, quello che sarebbe stato arduo in uno stato libero diventava impossibile. Dopo la fine della guerra, il MSI ripropose quel melting pot che già si era visto al tempo del regime: nel partito confluirono nostalgici, moderati, rivoluzionari, un po’ di tutto, insomma. Bisogna, però, considerare che il MSI era un piccolo partito, che si basava su di un zoccolo duro che non superava il 4% dei suffragi, e che soffriva di una possente emarginazione politica: si ricordi che, nell’unico caso in cui si tentò di “sdoganarlo” (governo Tambroni), esplosero terribili tumulti, tanto che vi fu un’immediata marcia indietro. Oggi, Alleanza Nazionale è un partito grande e moderno; e se è indubbio che le sue origini siano quelle missine e, pertanto, riconducibili, in qualche modo, all’esperienza dell’ultimo fascismo, è altrettanto indubbio che oggi in A.N. siano presenti esclusivamente componenti pienamente democratiche: non solo sono scomparsi atteggiamenti nostalgici, ma, talvolta, addirittura, si esagera in senso opposto, negando perfino che esista un’agnazione che, per quanto qualcuno possa trovarla imbarazzante, pure è innegabile. Dicevamo di Alleanza Nazionale che essa è un partito europeo, moderno, che dà un’immagine di sé dinamica e pragmatica; pure, al suo interno continuano a convivere pacificamente diverse anime, che incarnano, per così dire, la storia della destra italiana.

Vi sono dei tranquilli conservatori e vi è anche qualche ideologo un tantino più radicale dal punto di vista dei rapporti col popolo. Questo qualcuno è rappresentato, appunto, dalla destra sociale; la quale, si badi, non è una corrente di A.N. (il che farebbe pensare ad una specie di Democrazia Cristiana), ma è una definizione che raccoglie sotto di sé tutti coloro i quali ritengano, all’interno della destra, che sia necessaria un’attenzione per il sociale superiore a quella che il liberismo tradizionale gli riserva solitamente. In un certo qual modo, questa visione presuppone il ruolo di A.N. in qualità di garante, all'interno della CdL, del rispetto dei valori dello stato sociale; il che non significa assistenzialismo, ma, certo, laddove ce ne sia bisogno, significa senza dubbio assistenza.

In fondo, il problema cardine dei sistemi socioeconomici moderni è proprio quello di conciliare lo sviluppo con il benessere della gente, il libero scambio con il welfare state, Soros e Keynes. La risposta della destra sociale è partecipativa: il cittadino partecipa attivamente alla produzione e alla vita sociopolitica, in quanto è contemporaneamente manodopera e produttore. Lo Stato non è, in quest’ottica, qualcosa di esterno al corpo sociale, bensì l’insieme dei cittadini, alleati per ottenere il medesimo scopo: che non è la ricchezza, o il consumo, ma è il benessere di tutti. Questo rappresenta l’esatto contrario della concezione giacobina del popolo: buono e bravo, ma sostanzialmente bue, e quindi, necessariamente, eterodiretto.

Perché la società si apra ad esperienze largamente partecipative, sono necessari contemporaneamente un direttivo forte e decisionista ed un ampio controllo statale nei meccanismi dell’economia: naturalmente, tutto questo deve passare per forme evolute di democrazia diretta, a cominciare dalle elezioni primarie, che permettano agli elettori di creare dal basso la propria classe dirigente, altrimenti si corre il rischio di creare un supergoverno privo di controlli. Riassumendo un po’ schematicamente: i valori evidenti della destra sociale sono basati su semplici concetti. Come si è detto, si delinea un’economia ampiamente sociale, che preveda tutta una serie di servizi offerti ai cittadini, a partire dai più deboli.

Poi, si postula una forte difesa dei valori tradizionali ed identitari dell’Italia: il che comprende considerazioni di ordine politico (immigrazione, protezione degli elementi tradizionali), ma anche di ordine culturale (patrimonio ambientale, storia, beni artistici ed architettonici, prodotti alimentari). Infine, si immaginano meccanismi per accentuare il potere decisionale del popolo nelle scelte di ogni ordine e grado. Detto così, suona un po’ propagandistico: di fatto, la destra sociale va misurata alla riprova dei fatti, laddove uomini della destra sociale abbiano responsabilità di governo, come nel caso del ministro Alemanno o del Presidente della Regione Lazio, Storace. In questi settori non è stata messa in atto una caccia alle streghe liberiste: semplicemente, si è cercato di operare con buon senso e lucidità, per fare funzionare i meccanismi a vantaggio dei cittadini; si tratta solo di un primo passo, ma è certamente un passo significativo: i risultati sono lì a confermarlo. Eppure, in fondo in fondo, quello che conta per un uomo di destra, per un uomo della destra sociale, rimane il sentimento: abbiamo cercato di dare un quadro razionalmente ricostruito di questa destra; tuttavia, essa ci appare ancora come una sensiblerie, come un modo di sentire.

Quel che importa è che si riesca a coniugare il senso di appartenenza, di fraternità d’armi, che ha sempre caratterizzato la destra rivoluzionaria, con la capacità politica ed imprenditoriale senza le quali ogni buona intenzione affonda nell’utopia: noi crediamo che la destra sociale incarni esattamente questo connubio. E, al centro di tutto, non troveremo il denaro, l’efficienza o il sogno, ma troveremo l’uomo, animale sociale

La Destra Sociale e il Governo

La destra sociale vuole riuscire, nell'ambito dell'attuale compagine di governo, a costruire una strategia di azione politica in grado di affrontare quattro priorità: innanzitutto, governare secondo un vero principio di sussidiarietà la riforma del mercato del lavoro, del welfare e il processo di devoluzione; secondo, rivendicare il riequilibrio delle nostre posizioni in Europa; terzo, produrre un'idea italiana dell'Europa, incrociando questa idea con l'interesse nazionale e con la proiezione mediterranea dell'Europa stessa. Quarto e ultimo punto, riuscire a controllare, governare e sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione. La destra sociale è una destra che è in grado di dispiegare nell'azione di governo il proprio principio di coesione sociale secondo il meccanismo/valore della "partecipazione", declinando a sua volta la partecipazione secondo il principio della sussidiarietà, che ci deriva dalla dottrina sociale della Chiesa. Il momento della partecipazione è dunque il momento centrale della nostra azione politica, perché in essa si manifestano compiutamente le potenzialità di quella che più volte abbiamo definito "società civile organizzata". Proprio nell'autonomia dei corpi intermedi va ricercato il punto di equilibrio per non cadere né nel liberismo sfrenato, né nel vecchio statalismo. Per far questo c'è bisogno di una forte spinta partecipativa: vale e dire della capacità, da parte della "società civile organizzata", non soltanto di gestire e risolvere i problemi, nei propri ambiti di competenza, ma di agire anche in direzione del bene comune e dell'interesse generale. Tra l'altro, la partecipazione racchiude in sé la possibilità di allargare lo spazio a disposizione delle "minoranze attive" dentro un sistema democratico, spazio che non si limita ai soli partiti - e più in generale alla sola partecipazione politica - ma si espande all'interno del sistema sociale. Da questo punto di vista, la partecipazione, in quanto attuazione dell'art.46 della Costituzione, nostra priorità nell'agenda di governo, non può e non deve essere considerata come un meccanismo rigido, necessariamente di massa, ma come una grande e vitale spinta del singolo e della sua comunità di appartenenza che lascia spazio, mediante una delega consapevole, a quelle "minoranze attive" che rappresentano il dato associativo.

La Destra Sociale e la Globalizzazione

La destra sociale ritiene fondamentale che le comunità nazionali - unità di lingua, cultura e storia - mantengano un proprio ruolo, soprattutto nell'epoca della globalizzazione. Anche in questo ambito le culture individualistiche spesso dimenticano che l'uomo è radicato: storicamente, culturalmente e geograficamente. Non tener conto di questo, come spesso fa il cosmopolitismo soft - che fa da ideologia portante di questa globalizzazione - crea l'illusione di un individuo astratto, dotato di una falsa libertà assoluta e di diritti universalmente validi: utopia che sempre più spesso naufraga scontrandosi con la dura realtà. Il singolo cittadino può sperare di affrontare le sfide della globalizzazione solo partendo dal valore della sua identità nazionale. Allo stesso modo solo la politica può dare un ruolo, una missione e una prospettiva a ogni singolo popolo: ad essa spetta la necessità di difendere, nel libero gioco delle relazioni internazionali, lo specifico interesse nazionale. Dunque, l'elemento fondamentale nella nostra azione politica è la volontà di governare la globalizzazione. In questo senso, dobbiamo sviluppare un'idea d'Europa compatibile con il nostro interesse nazionale. Quindi, paradossalmente, per articolare le nostre specificità nazionali in Europa, e quindi in seno al processo di globalizzazione, occorre andare oltre l'interesse nazionale stesso e porlo in termini compiutamente propositivi. Risulta dunque fondamentale, in questo senso, produrre finalmente un'idea di Europa che abbia nel bacino del Mediterraneo la sua centralità.

La Destra Sociale è una Destra comunitaria

La destra sociale esprime una cultura politica e una visione del mondo di orientamento comunitario, che cerca di fondere e valorizzare nella sua azione politica l'unità nazionale, il senso dello Stato, i valori della famiglia, dei corpi intermedi (come associazioni, ruppi politici, ordini professionali…) e delle comunità locali. Partendo da questa caratterizzazione "comunitaria", la destra sociale ritiene che, per dare un progetto articolato alla nostra comunità nazionale, sia necessario sviluppare una politica economica e sociale basata sui principi della partecipazione e della solidarietà diffusa. La cultura comunitaria è la base comune, la sensibilità che lega la cultura nazionale, che porta al riconoscimento e alla valorizzazione dei propri specifici interessi nazionali, la dottrina sociale della Chiesa e, infine, la cultura della partecipazione che valorizza il ruolo della mobilitazione e del coinvolgimento, appunto, dei gruppi intermedi e delle categorie sociali nelle dinamiche e nelle scelte della politica. Proprio su questo terreno si gioca la differenza tra l'identità di una destra di orientamento "sociale" e quella di una destra "liberalista". La destra sociale non nega il valore dell'individuo, ma ritiene che esso si formi e si realizzi compiutamente nell'ambito delle relazioni, in particolare in quelle non utilitarie - prima fra tutte la politica - che riesce a intrecciare nei diversi ambiti in cui dispiega la sua esistenza. La cultura comunitaria pensa ad un individuo che trovi il massimo della sua valorizzazione e realizzazione come "persona umana", come "essere che vive con e per gli altri", nel contesto della cultura del suo popolo e della sua comunità locale e nazionale. Se così non fosse avremmo un qualcosa di "monco", privato cioè del proprio senso di appartenenza e di quelle radici che vanno intese a cerchi concentrici, dal microcosmo familiare ad insiemi comunitari più vasti. Questo complesso insieme di relazioni non nega l'individuo in quanto persona, ma lo sostiene, lo forma, gli dà uno scopo e una visione del mondo, un destino, lo polarizza attorno ad un centro di gravità. Marcello Veneziani ha esemplificato tutto questo affermando che il comunitarismo "è il senso del radicamento in un orizzonte sociale e culturale avvertito come orizzonte comune, plurale e significativo. Comunitario è chi assegna valore all'identità, alla provenienza, dunque all'origine; e alle vie che conducono alle radici, come le tradizioni. Comunitario è chi assegna valore al legame sociale, religioso, familiare, nazionale, che non vive come vincolo ma come risorsa (…) Comunitario è chi ritiene che ogni Io abbia un luogo originario o eletto, che avverte come Patria (…) Il comunitario infine è colui che assegna importanza al comune sentire, ai riti, le usanze e i costumi di un popolo". La militanza è l'azione che declina la propria appartenenza ad una comunità politica.

Glossario

AMBIENTE.: per la destra l'ambiente non è una dimensione meccanica, che condiziona e plasma a suo piacere l'uomo (concezione della sinistra), ma una realtà vivente che può avere un profondo rapporto con l'anima dei diversi popoli, con le loro differenti specificità. E' il "paesaggio" di Spengler, la "madre terra" delle comunità tradizionali. Noi cerchiamo il "nostro" ambiente naturale, e anche lo creiamo, interagendo reattivamente (Ortega y Gasset): esso diviene una espressione esterna della nostra interiorità. ANTAGONISMO: ci sono i professionisti dell'antagonismo, i malati immaginari di antagonismo, coloro che sono antagonisti a tutto compresi se stessi, che dicono di combattere il sistema, ma sono disposti a muoversi solo con l'assistenza pubblica e politica delle amministrazioni di sinistra. Poi ci sono coloro che, lontano dai riflettori, senza velleitarismi e infantili dogmatismi credono di avere ancora una visione del mondo antagonista.

BIOETICA: la scienza moderna non ha in sé criteri etici: è una forma di conoscenza che vuole cambiare il mondo in profondità in nome del "progresso". Serve quindi una dimensione valoriale, posta al di sopra della scienza, che la controlli e la guidi. La bioetica per la destra non deve limitarsi alla difesa della dignità umana di fronte alle minacce di certe ricerche della biologia, ma deve anche tutelare l'ordine della natura nel suo complesso.

BIPOLARISMO: Marcello Veneziani afferma che il bipolarismo di domani sarà quello fondato sulla dialettica comunitari-liberal. Questo bipolarismo è sicuramente - e i segnali lo dimostrano chiaramente - una linea di tendenza presente nello scenario politologico nazionale e internazionale, dove, mentre la destra va sempre più accentuando i suoi caratteri comunitari e interclassisti, osserviamo una sinistra che cerca sempre più la sua nuova legittimazione nella "rivoluzione liberale" di gobettiana memoria e cerca di contestualizzare il proprio progressismo in termini di emancipazione dell'individuo da tutte le proprie radici comunitarie e nazionali. La sinistra di oggi si caratterizza, dunque, per l'"individualismo istituzionale": lo Stato sociale e le tecnostrutture distribuiscono diritti civili e politici agli individui, e non, come noi riteniamo più corretto fare, a gruppi, famiglie e comunità, considerando il cittadino solo nella sua individualità indistinta e negando quindi qualsiasi valore, appunto, agli insiemi comunitari. In questa visione si ritrova il peggio dell'eredità giacobina della sinistra.

COALIZIONE: rispetto a sei anni fa il centrodestra appare molto più coeso, nonostante le differenze, molto più maturo, è più "coalizione". Le sue anime - cattolica, liberale, federalista e solidarista - riescono a convivere abbastanza bene, a differenza della sgangheratezza degli avversari.

COMUNITA': si può stare assieme senza contratto, senza calcolo, con un progetto comune che abbraccia intere generazioni, che si pone l'obiettivo del millennio venturo, che costruisce mura e cattedrali, per mero amore? La comunità è esattamente questo. Non può vivere comunità che ritenga vita priva di significato: costui è più adatto fare il liberale, ossia cercare ad ogni costo il proprio utile personale (nell'illusione che ciò coincida col bene comune), fino alla morte che lo deruberà di tutto. Non può vivere comunità chi non abbia solidi motivi per amare qualcosa fino al disprezzo di sé; l'alternativa è amare se stessi fino al disprezzo dell'universo intero. Comunità nasce dal realismo di cogliere la vita umana come una parentesi provvisoria, eppure come l'unica freccia al proprio arco, per cui ha senso il sacrificio di sé, e la volgarità del mercato scompare. Il bambino che nasce non può ripagare in alcun modo il cibo della propria madre, senza la prima forma basilare di comunità, la famiglia, nessuno d noi sarebbe sopravvissuto, allo stesso modo, nulla come l'egoismo uccide i popoli, annullandone il destino. Homini viatores, ci accorgiamo che il viaggio ha uno scopo se è fatto in compagnia. Il significato della vita di singoli e popoli si incontra così, gratuitamente, in cammino (ovvero non lo inventiamo noi, e al massimo lo riconosciamo).

CULTURA: il principale obiettivo culturale per la destra italiana è quello di riuscire finalmente a spezzare quello che Peppe Nanni ha giustamente definito come il "trust culturale" costruito negli ultimi cinquant'anni dalla sinistra. Per far questo è necessario sviluppare una politica culturale e difesa del pluralismo al di là di qualsiasi tentazione egemonica. Cioè a difesa della possibilità di scelta per ottenere un vero confronto, un conflitto regolato tra culture diverse. Contemporaneamente uno dei grandi obiettivi della nostra azione culturale e metapolitica deve essere quello di una rottura della logica progressista cominciando a comprendere che esistono una serie di civiltà e realtà diverse, che si sono articolate nella storia, che non possono essere incasellate in senso gerarchico secondo una dinamica progressista. Questo è un dato fondamentale per aprire orizzonti nuovi nella percezione del pensiero e del mondo tradizionale, di realtà che sono il nostro popolo, chiuso dietro una griglia razional-progressista, stenta a riconoscere come tali.

DEMOCRAZIA: mentre il potere mondialista della finanza apolide usa l'inglese come sua lingua franca, le democrazie per farsi intendere e ottenere i voti su cui basano il loro potere devono esprimersi nelle lingue dei popoli e -almeno per questo - sono necessariamente nazionali. La democrazia è anche quella cosa con cui più spesso si vincono le guerre. Cesare, creatore dell'Impero romano con la conquista delle Gallie era il capo del "partito democratico". Napoleone invase l'Europa in nome della nuova idea democratica, che era riuscita a creare la Grande Armata imponendo la coscrizione generale obbligatoria. Di solito sono i democratici in America a volere le guerre (Wilson nella prima guerra mondiale, Roosvelt nella seconda), mentre la destra repubblica è più isolazionista.

DESTRA: chiusi, finalmente, i due secoli sanguinosi della cultura delle rivoluzioni, le differenze tra destra e sinistra vanno sempre più perdendo, dicono, di significato. La sinistra tiene all'etichetta derivata dalla topografia parlamentare più di quanto ci tenga la destra, che preferisce definirsi attraverso simboli, personaggi e contenuti: gollista, conservatrice, giustizialista, nazionalpopolare, cristianosociale (come in Baviera) e altro ancora… Perciò la sinistra considera di destra gli inviti a superare i vecchi schemi di destra e sinistra. In effetti gli inviti così spesso vincenti segnano le fasi più vitali, dinamiche, innovative della destra, che di solito torna a definirsi tale nelle fasi di declino.

ETICA: avere/dare valori vuol dire offrire riferimenti forti alla persona e alle comunità, in grado di sprigionare energie e di mobilitare grandi capacità. Scelte etiche e valoriali immettono infatti energie positive nella società, fidando l'entropia sociale, il rilassamento e lo sfaldamento. Tutto questo può realizzarsi indicando punti di riferimento con cui ognuno si va a confrontare, pure ammettendo che settori anche ampi di popolazione non intendiamo aderire a questo modello. Reimmettere una dimensione etica nella società vuol dire soprattutto avere la capacità di generare una tensione ampia e aperta - non confinata in rigidi schemi confessionali - verso la spiritualità.

EUROPA: oggi occorre interrogarsi se l'idea di superamento degli Stati nazionali, ripiegati su se stessi, che ha dato inizio al processo di unificazione europea non rischi di tramutarsi da affermazione identitaria comune, portatrice di valori e di progettualità politica (l'Europa che noi vogliamo), in una mera fusione economica tra l'azienda Italia, l'azienda Germania e così via. Da svolta della storia mondiale a gestione manageriale dell'economia e della società, imposta acriticamente da un Paese all'altro sotto gli auspici del Fmi. L'ideale europeo finirebbe così non col creare una nuova casa comune, ma si esaurirebbe nell'essere null'altro che una tappa intermedia verso un mondo dove le appartenenze "aziendali" finiscono per contare più di quelle politiche o culturali.

FEDERALISMO: un tempo l'autorità era ritenuta legittimata da un diritto divino. Il crescente dubbio sviluppatosi in occidente su questa provenienza celeste della regalità, mise fino all'Era delle monarchie dinastiche ed alle teocrazie, lasciando il campo alle organizzazioni di tipo democratico. Se la legittimazione non viene più dall'alto non può che venire dalla base, tramite un processo di associazione progressiva degli individui e delle comunità. Questa "scelta associativa" non può essere imposta o passiva, ma deve essere (perché mantenga la sua legittimità) continuamente riaffermata con la riconferma mutuale della reciproca volontà di appartenere al medesimo insieme. Così le famiglie, le tribù e poi le nazioni si sono federate nel tempo in insiemi più ampi. La federazione è un patto che non ha confini di nessuna natura, purchè le parti che si associano mantengano le loro specificità. Dalla molteplicità deriva la ricchezza dell'insieme; purchè l'insieme venga salvaguardato.

FIUGGI: nome di ridente cittadina laziale, nota per le sue terme e l'acqua con proprietà terapeutiche e diuretiche: da ripetere costantemente a chi vi chiede ancora qualche altro strappo col passato.

GIOVANI: anagraficamente, nonostante il calo delle nascite, qualcuno ancora circola in Italia. Gli altri, quelli giovani per davvero, quelli per cui la gioventù è una categoria dello spirito sono in via di estinzione. Braccati dal moderatismo, stremati dal senso comune, inseguiti dalla paralizzante normalità sono alla ricerca di un loro habitat, di un loro Wwf che li protegga…ci provi Azione giovani.

GLOBALIZZAZIONE: l'odierna globalizzazione, quella che è letteralmente esplosa dopo la fine della Guerra fredda e di cui non è ancora possibile dire se si tratti di una svolta destinata a segnare un lungo periodo futuro, o di una breve fiammata che si esaurirà presto, è un processo che si ispira ad un libero scambio totale quanto confuso, ad una accettazione senza problemi dell'interdipendenza che porta come logica conseguenza a prevedere la fine dello Stato "politico" così come lo conosciamo oggi, e alla sua sostituzione con realtà produttive fondate su una specifica, e assai ristretta, specializzazione produttiva, inserite in quella che viene chiamata "nicchia" sul mercato globale. Si fonda sull'idea di un mondo di repubbliche di banane. La nascente e pasticciata "ideologia" che sta dietro alla globalizzazione è una specie di cosmopolitismo soft carico di semplicistici luoghi comuni e di venature umanitarie, alla Jovanotti, una "ideologia" che alcuni considerano destinata a prendere il posto - nel cuore delle masse e nei commenti dei media - degli antichi patriottismi.

ISTRUZIONE: dall'attuale crisi del sistema dell'istruzione si esce con le tre "i": identità, inattualità, insegnamento. Anzitutto l'identità culturale della nazione: la sua conoscenza, comprensione e trasmissione, devono tornare ad essere l'essenza della scuola. Prima delle suddivisioni interne del sistema e dello stabilimento dei programmi, l'identità nazionale deve costituire il fondamento dell'istruzione di ogni livello: un popolo che smarrisce la memoria e la comprensione di sé, è destinato ad essere schiavo e a perdersi nel fluire della storia. Questo punto sembra chiaramente recepito dalla politica scolastica del governo. Poi l'inattualità, perché l'inglese, la matematica e l'informatica servono alle aziende più di quanto servano alla persona e al cittadino. Occorre fondare l'apprendimento su un nucleo di discipline storico-letterarie in grado di trasmettere i valori di riferimento, per consentire il libero sviluppo dell'intelligenza e della personalità. La cultura è un bene per sua natura non fungibile ed inattuale: bisogna assolutamente evitare di costruire una scuola appiattita sull'attualità, schiava delle mode e di ridotto valore culturale. Infine l'insegnamento: dopo tanti anni di pedagogismo morbido, tendente a ridurre l'insegnante a una scialba patetica figura, deve tornare ad essere l'essenza della funzione docente. Non amico né consigliere né confuso chiaccherone, ma guida e maestro. Solida preparazione professionale, profonda cultura, dedizione: solo così si può essere guida nel processo di conoscenza e maestro in quello di crescita e maturazione, esempio in grado d'incarnare e trasmettere conoscenze e valori.

LAVORO: è del 21 aprile 1927 la Carta del lavoro. Nel suo libro postumo Genesi e struttura della società Giovanni Gentile, il filosofo assassinato, aveva predicato l'Umanesimo del Lavoro. La Repubblica italiana, come proclama il primo articolo della Costituzione, "è fondata sul lavoro". Nel programma del Movimento sociale italiano si prospettava la realizzazione delle Stato nazionale del lavoro. Lo Statuto dei lavoratori, che adesso va aggiornato e quindi riscritto, passò a suo tempo anche col voto del Msi.

LIBERTA': perché tanti di noi l'amano più degli altri? Perché non l'hanno avuta in regalo né dai partigiani, né dagli americani, ma per mezzo secolo hanno dovuto faticosamente conquistarsela giorno per giorno contro discriminazioni e pregiudizi. E' una libertà fusa nel fuoco dei fratelli Mattei, cementata col sangue di Acca Larenzia, di Mantakas, di Ramelli…

MODERNITA': la modernità non deve essere considerata come una sorta di epoca storica superiore alle altre, più elevata, più civile, qualcosa di "ideologico" come fa il "progressismo". Nei suoi confronti occorre, comunque, avere un atteggiamento positivo, che non vuol dire acritico, ma attivo, nel senso di ritenere che la modernità, le sue conseguenze politiche e sociali, le sue realizzazioni, soprattutto in campo tecnico, possono essere strumenti validi per una politica ispirata a principi spirituali, comunitari e identitari. Proprio la capacità di attualizzare questi "principi metastorici" e "metapolitici" è una delle nostre più alte ambizioni. Questo può accadere solo considerandoli come un dato permanentemente a disposizione dell'uomo, a prescindere dalle evoluzioni della storia. Nel caso contrario si ricadrebbe nel cono d'ombra dei "miti incapacitanti", una trappola in cui è spesso scivolato un certo tradizionalismo. Il grosso della cultura della destra tradizionalista antimoderna, pur nell'assoluta profondità di elaborazione e fascino di alcuni dei suoi principali esponenti, si è rivelata "impolitica" negli esiti. Questo però, non significa avvertire la presenza di un "lato oscuro della destra" - in cui spesso si tende a far rientrare indiscriminatamente qualsiasi cultura politica di orientamento comunitario - che deve essere bonificato. Al contrario è possibile costruire una destra democratica a forte connotazione identitaria, comunitaria, solidarista, partecipativa, in connessione positiva sia con la Tradizione che con la modernità.

NAZIONE: l'Italia, uno dei patrimoni più alti del genere umano, non deve sciogliersi nell'Europa, ma starvi e rafforzarvisi come soggetto ben distinto e profilato, come una nazione che s'associa a altre nazioni affini per preservare meglio la sua specificità, lingua, cultura e contare di più nei prossimi equilibri del Pianeta. Dall'orgoglio nazionale devono dilatarsi sentimenti forti e fraterni di solidarietà verso regioni, ceti, individui meno favoriti.

PARTECIPAZIONE: a Fiuggi, nel congresso che ha fondato Alleanza nazionale, venne approvata a stragrande maggioranza una mozione del sindacalista Stefano Cetica che pone tra gli altri obiettivi programmatici di An la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, prevista nell'art. 46 della Costituzione. Un progetto di legge per la partecipazione era stato presentato alla Camera nella passata legislatura da Fini, Alemanno, Storace e ripresentato ora da Cirielli sempre di An.

PATRIA: è lo spazio fisico e culturale che rappresenta per l'individuo l'orizzonte originario, il paesaggio della sua esistenza. La persona non può essere scissa dalla cultura del suo popolo e della sua comunità nazionale. Quest'appartenenza deve essere comunque intesa a cerchi concentrici, dal microcosmo familiare ad insiemi comunitari più vasti, che si dispiegano all'interno della cornice della propria Patria. Tutto questo insieme di relazioni non nega l'individuo in quanto persona, ma lo sostiene, lo forma, gli dà uno scopo e una visione del mondo, un destino, un centro di gravità che lo integra. Una vita per quanto aperta possa essere, è sempre incastrata nella storia delle comunità dalle quali trae la propria identità - si tratti della famiglia o della città, della tribù o della nazione, del partito al quale si aderisce o della causa che si difende. Queste storie, questi racconti, fanno una differenza morale, non solo psicologica.

POTERE FINANZIARIO: è il grande elettore straniero che vota tutti i giorni in casa nostra e pretende d'influire sulle decisioni dei nostri governi e del nostro Parlamento più di noi Popolo sovrano. Contro questo potere prosegue quella che Ezra Pound chiamò "l'eterna lotta del contadino e di chiunque voglia fare un onesto e buon lavoro contro gli usurai".

RICERCA: in una società complessa ed altamente tecnologica, la ricerca è un'attività vitale. Non però qualsiasi tipo di ricerca, quali che ne siano gli obiettivi. Allo stato spetta di promuovere ed organizzare la ricerca e di stabilirne i limiti. Senza che ci si lasci abbagliare dallo sfolgorante idolo del progresso tecnologico, la ricerca deve servire a battere nuove vie: ma queste vie devono essere attentamente vagliate. Il fine della ricerca non può essere il profitto, e dev'esserne sempre attentamente studiata la compatibilità: con le norme etiche, con gli interessi nazionali, con gli equilibri ecologici. Gli scienziati, ormai troppo spesso semplici salariati (anche riccamente salariati) delle multinazionali, non possono arrogarsi l'assoluta libertà di inventare e sperimentare qualsiasi mostruosità, seppur profittevole, a cui si possa giungere nei laboratori. Oggi la ricerca, priva di qualsiasi limite etico e di qualsiasi controllo che non sia l'interesse dei finanziatori dei progetti, solleva sempre più dubbi, allarme, sconcerto nella pubblica opinione. Dalla clonazione alla ricerca farmacologica, dalla vivisezione alle tecniche di fecondazione, dalla ricerca chimica e fisica alle sperimentazioni più assurde e stravaganti, si avverte il bisogno di un controllo, di un limite, di un indirizzo: scegliere i progetti che hanno una reale e diffusa utilità, che non contrastano con l'etica e la sensibilità, che non rischiano di risolversi in danni e catastrofi per l'ambiente. Questa è la vera civiltà: rispettosa, umile, attenta. Che la scienza lo impari.

RIVOLUZIONE: termine caduto in disuso per il tributo di sangue pagato in passato alle sue ubriacature. Inquietamente inquilino del primo periodo del Novecento, è stato sfrattato dal terrore che ha ingenerato. Rivoluzione presuppone una morte per uno scoppio e non per lenta consunzione. In epoca di anemia rimane immeritatamente sulla bocca dei rivoluzionari telegenici alla Agnoletto. Lasciateci almeno il suo eroico ricordo, non defraudatela della sua carica di affascinante tragicità, sottraetela dalla bocca di Agnoletto, carnescialesca caricatura di Arrigo Sacchi! La rivoluzione non russa…è vero…ma non può nemmeno essere affogata fra paste al forno e "agnolotti".

SICUREZZA: tema fondamentale e sentitissimo. I cittadini italiani non si sentono sicuri né in casa né fuori e chiedono maggiore protezione allo Stato che troppo spesso ha alzato bandiera bianca di fronte all'assalto della mala vita. Maggiore sicurezza, certezza della pena e procedimenti rapidi ed equi, l'italiano dopo anni in cui era colpevolizzato dal politically correct in tema oggi riscopre l'importanza del sistema sicurezza e ha chiesto migliori tutele. La sinistra ha fallito su tutta la linea danneggiando tutti e creando situazioni in cui alla rabbia ed al dolore si mescola l'incredulità per l'incapacità di perseguire chi delinque e la impossibilità di prevenire sanando situazioni potenzialmente ad alto rischio. Il tema è così sentito che il primo scopiazzamento di temi e di immagini è avvenuto proprio su questo argomento. Ma tra la copia (brutta e già fallimentare) e l'originale…

SOCIALE: nella visione della destra comunitaria la dimensione del sociale è sempre frutto di una dimensione verticale, una spinta verso l'alto, cioè di uno slancio verso la crescita umana, verso la partecipazione alla costruzione del bene comune. In questo senso appare nettamente marcata la differenza rispetto all'approccio del conservatorismo compassionevole, che al contrario appare come una protezione sociale calata dall'alto. In questa visione infatti prevale l'elemento assistenzialista e passivo, nel quale si rischia di perdere il principio di crescita, di responsabilizzazione e di consapevolezza dell'individuo e delle comunità.

SOLIDARIETA': trito e ritrito concetto caro alla sociologia di sinistra, usato e abusato per giustificare i peggiori crimini e per costruire le migliori carriere dei professionisti della solidarietà. In epoca di sbrodolante buonismo è inflazionata, ma c'è ancora chi tenta di coniugarla e incarnarla nella vita reale, senza utilizzarla per "progressisti" gargarismi. La solidarietà muore nelle enunciazioni pompose dei soloni e vive nella prassi se non disgiunta dal concetto di comunità e di radici, evitando pericolosi apparentamenti con un peloso umanitarismo e affrancandosi dal "fratellastro" assistenzialismo.

STORIA: è il nostro orgoglio. Non pretendiamo che sia priva di errori da evitare e non ripetere, ma non accettiamo che se ne traggano motivi di mortificazione. L'uomo di destra non è figlio di nessuno e non è nato ieri, come può forse sentirsi chi milita a sinistra. Quindi è fiero dei propri antenati e ne esige il rispetto.

TRADIZIONE: la tradizione non è affatto nemica del progresso, il suo contrario. Il progresso stesso è tradizione che avanza abbandonando i rami secchi e arricchendosi di ogni nuovo fattore destinato a accrescere la potenza dell'uomo. Non può esistere vero progresso senza un solido bagaglio di conoscenze sperimentate dalla tradizione, così come un albero non potrebbe crescere, né sopravvivere senza le radici.

La politica economica dopo Tremonti

(Tratto da AREA) - Pensando i lineamenti di una nuova politica economica per i prossimi anni, potremmo azzardare un’immagine: la gestione dell’economia deve passare dallo stadio "gassoso" della finanza creativa Pinel a uno stadio "solido". In altre parole, dal primato della politica fiscale al primato della politica industriale come prius logico dell’agenda politica. È diventato una sorta di tic universale quello di denunciare - giustamente - i difetti strutturali del nostro sistema industriale. Nel corso degli ultimi decenni, abbiamo visto precipitare in rovina o scivolare in posizioni secondarie i grandi settori - pensiamo al chimico, al siderurgico o all’automobilistico - che avevano trainato la crescita economica del Paese negli "anni d’oro" dello sviluppo, senza che fossero pensate contromisure adeguate, oltre i processi di privatizzazione e di dismissione del nostro patrimonio industriale a controllo pubblico, interventi realizzati con effetti distorsivi. Di recente, i casi Cirio e Parmalat non hanno fatto altro che dimostrare quanto calzante sia per l’Italia l’immagine del "colosso dai piedi d’argilla". Così, sollevare oggi il problema del nanismo delle imprese non è più un vezzo per nostalgici dei colossi produttivi, ma lo snodo centrale attorno a cui ruota la chance per il "cantiere Italia" di essere un competitor attrezzato per il mondo globale. In questo contesto, allora, il limitarsi ad invocare la riduzione delle tasse come panacea sconta un deciso vizio di prospettiva, peraltro facile da intuire. È vero, infatti, che l’eventuale riduzione dell’Irpef crea le condizioni per incentivare i consumi delle famiglie: ma quanto del surplus si traduce in reale beneficio per la competitività del sistema-Paese, se i destinatari delle accresciute capacità di portafoglio dei consumatori non sono le nostre imprese ma compagnie estere che invadono settori strategici del nostro mercato per assenza di concorrenza interna? Gli esiti dei provvedimenti di sostegno alla rottamazione nel settore automobilistico, che ha sì fatto aumentare l’acquisto di nuovi veicoli ma non a favore dei costruttori italiani, troppo indietro sul terreno dell’innovazione di prodotto per poter davvero tenere testa ai rivali tedeschi o francesi, restano il simbolo più efficace di cosa può generare una visione miope della politica degli incentivi. Analogamente, per cambiare esempio, non è azzardato immaginare che, in presenza di un mercato borsistico incapace di attrarre ricchezza (e risparmio) su aziende dai fondamentali robusti e credibili, la maggiore capacità di reddito delle famiglie scatenerebbe una "corsa al mattone" che farebbe lievitare ulteriormente il prezzo delle case, peggiorando le condizioni di quel circolo vizioso che da anni tiene depresso il mercato azionario e in uno stato di rigonfiamento artificiale i valori degli immobili. Dunque, addio al sogno della prima casa e ulteriori "incentivi" alle speculazioni. La priorità di una solida politica industriale è semplice da identificare: favorire il rilancio del nostro sistema di imprese, e fare in modo che ciò non si traduca in una sorta di favore improprio fatto alla concorrenza straniera, secondo linee di azione che proviamo a tratteggiare. In primo luogo, uno strumento centrale di politica industriale è la stipula di un nuovo "patto del 23 luglio". L’accordo del 1993 tra governo e parti sociali promosso dall’allora presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi aveva permesso di invertire la tendenza alle impennate di inflazione e costo del lavoro. Nel nuovo patto devono confluire la questione salariale, il problema delle regole - gli scioperi, i meccanismi di raffreddamento dei conflitti - e, in qualche misura, anche la questione della rappresentanza sindacale. Questi temi, integrati tra loro in una nuova concezione delle relazioni industriali, andrebbero declinati in un modello che valorizzi davvero la federalità e la sussidiarietà nel mercato del lavoro, dando slancio alla competitività rattrappita dall’omologazione forzosa su inesistenti parametri "medi", attribuendo il primato alla propulsività dei contratti aziendali e territoriali, favorendo una maggiore libertà contrattuale che realizzi meccanismi di partecipazione finanziaria ed organizzativa nelle imprese, nuovi luoghi d’incontro tra imprenditori e rappresentanze al posto delle vecchie incrostazioni burocratiche e neocentraliste che di anno in anno continuano a rivelare la loro pericolosa inattualità. In secondo luogo, conviene ripeterlo, abbiamo necessità di un coerente dispiegamento di politiche che superino il problema del nanismo delle imprese. Anche in questo caso, il tema della partecipazione può rivelarsi decisivo, se legassimo ad esempio forme di finanziamento non bancario alle aziende che, attraverso l’allargamento della base azionaria, scelgono di crescere dalle piccole alle medie o grandi dimensioni, o se aprissimo la strada dell’incentivazione alla democrazia economica nei contesti in cui il cambio di generazione della proprietà familiare pone all’impresa problemi di investimenti o di collocazione sul mercato. In terzo luogo, dobbiamo avere il coraggio di imprimere una decisa torsione alle politiche governative d’investimento, soprattutto nelle zone depresse del nostro Paese. È arrivato il momento, soprattutto dopo l’ingresso in Europa dei Peco (Paesi dell’Europa centro-orientale, ex Urss, Mongolia), di abbandonare la vecchia logica degli investimenti a pioggia, del tipo "un poco ovunque", per concentrare tutte le risorse pubbliche disponibili, a partire da quelle di Sviluppo Italia, sui due o tre settori riconosciuti come strategici per riposizionare l’asse competitivo del sistema-Paese. L’Italia ha bisogno che, nei suoi settori tradizionali e trainanti - il tessile, l’elettrodomestico, l’agroalimentare - si compia un generale riposizionamento delle produzioni e dei prodotti nell’"alto di gamma", radicando e sviluppando quelle "eccellenze" che ci consentirebbero di frenare le fughe di cervelli e i processi di delocalizzazione, e di recuperare quote significative di mercato nei segmenti più qualificanti. L’ultimo punto riguarda lo Stato e il suo braccio operativo. Siamo ormai lontani anni luce dalla mitografia liberista che, approfittando della denuncia dei ritardi e delle inefficienze del nostro apparato statale, dipingeva la supremazia naturale del privato sul pubblico e degli animal spirits padronali e manageriali sulla casta funzionariale che occupava le amministrazioni centrali e periferiche. Al contrario, oggi si va progressivamente affermando un nuovo paradigma che potremmo definire di "ritorno al pubblico" e che, come dimostrano anche le più recenti rilevazioni dell’opinione pubblica, pone i valori legati all’appartenenza, all’identità nazionale, al "collettivo", in posizione di sovraordinazione sugli interessi particolari, anche in chiave di una loro protezione e promozione. E questo vale non solo per i bisogni sociali legati alla sicurezza, ma si estende anche all’ambito economico. In altre parole, non si chiede più "meno Stato" ma una macchina pubblica più snella ed efficiente, in grado di assicurare un più efficace intervento nell’economia, di proteggere il mercato interno, di proporre in termini positivi il proprio ruolo di "servizio" nei confronti dei cittadini e dei territori, accrescendo (e non deprimendo, come in passato) la competitività del sistema-Paese. Adesso la richiesta di questa "rivoluzione della qualità" nella pubblica amministrazione aspetta una concretizzazione che ne affermi, una volta per tutte superando le eredità borboniche e sabaude, il ruolo di motore e non di freno dello sviluppo, stimolando l’e-government, i servizi ai cittadini e alle imprese, le sinergie pubblico-privato, una nuova managerialità pubblica. I quattro punti descritti in precedenza potranno costituire i binari su cui far viaggiare il treno dello sviluppo italiano nei prossimi anni. Uno sviluppo radicato storicamente, dinamico e al contempo "autoctono" nel suo percorso, capace di non esaurire i suoi effetti nello spazio di pochi anni. Uno sviluppo in grado di accompagnare tutto il sistema-Paese e non solo alcuni suoi pezzi pregiati, oltretutto a reggimento oligarchico, nei territori della competizione globale. Su gambe finalmente solide.

La Riforma della Scuola

Riportiamo in sintesi le novità proposte dal Disegno di Legge n. 1306, approvato al Senato lo scorso 13 novembre e attualmente in discussione alla Camera, che costituisce la cosiddetta “Riforma Moratti”.

• Scuola dell’infanzia: durerà tre anni e avrà l’obiettivo di concorrere all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio e sociale dei bambini. Potranno iscriversi i bambini di due anni e mezzo (quelli che compieranno i tre anni entro il 30 aprile successivo).

• Il primo ciclo di otto anni: il primo ciclo dell’istruzione durerà in tutto otto anni: cinque per le elementari e tre per la media. Potranno iscriversi i bambini di cinque anni e mezzo (quelli che compieranno i sei anni entro il 30 aprile successivo). Al termine delle elementari non ci sarà più l’esame di Stato, ma si passerà direttamente alle medie. Sin dal primo anno delle elementari si studierà una lingua straniera; i bambini saranno anche introdotti all’uso del computer. Nei successivi tre anni è previsto l’insegnamento obbligatorio di una seconda lingua straniera e si continuerà ad approfondire l’informatica, mentre verrà approntato un orientamento guidato per la scelta del percorso successivo. Al termine del primo ciclo ci sarà l’esame di Stato.

• La scelta tra scuola e formazione professionale: al termine del primo ciclo i ragazzi dovranno scegliere se continuare gli studi nella scuola superiore (licei) o se scegliere il canale della formazione professionale.

• Diritto-dovere fino a 18 anni: per tutti i ragazzi è previsto il diritto-dovere di seguire i corsi di istruzione o di formazione per almeno dodici anni o, in ogni caso, fino al conseguimento di una qualifica entro i diciotto anni.

• Licei: al termine del primo ciclo chi proseguirà negli studi accederà al sistema dei nuovi licei, che comprenderanno tutti gli indirizzi delle superiori. Si potrà scegliere tra liceo artistico, classico, delle scienze umane, economico, linguistico, musicale, scientifico e tecnologico. In tutto, otto indirizzi. Lo studio sarà organizzato in due bienni più un quinto di approfondimento e di orientamento per gli studi universitari. Il ciclo sarà chiuso con l’esame di stato, titolo necessario per l’accesso all’università e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica.

• Formazione Professionale: per chi, dopo il primo ciclo, sceglierà questo canale, sono previsti quattro anni di frequenza degli istituti professionali. A partire dai quindici anni di età si potrà continuare alternando periodi di frequenza e periodi di stage lavorativi. Previsto anche un quinto anno facoltativo al termine del quale il superamento di un esame consentirà di accedere all’università.

• Possibile cambiare idea: i ragazzi potranno cambiare indirizzo all’interno dei licei e anche passare dal sistema dei licei a quello della formazione professionale e viceversa. • Nei piani di studio entrano le Regioni: la riforma prevede che i programmi scolastici abbiano un nucleo fondamentale omogeneo su tutto il territorio nazionale. Ma è prevista anche una quota da riservare alle Regioni. Nei programmi scolastici potranno dunque essere inserite materie di interesse specifico collegate alle realtà locali.

• Promossi o bocciati ogni due anni: con la riforma viene introdotta nel sistema scolastico la valutazione biennale dei periodi didattici. In pratica i ragazzi saranno valutati ogni due anni ai fini della prosecuzione del loro percorso educativo: chi non raggiungerà il livello minimo sarà bocciato. Resta, comunque, la valutazione periodica e annuale che però non comporterà bocciature (qualora si dovesse essere bocciati, comunque, verrà ripetuto solamente un anno).

• Nella valutazione anche la condotta: nella valutazione degli studenti entrerà anche il comportamento. Ci sarà dunque il voto di condotta.

• Formazione degli insegnanti: alla formazione iniziale universitaria degli insegnanti viene considerata di pari dignità. Sarà obbligatorio il tirocinio.

• Qualità dell’istruzione: la riforma prevede l’istituzione di un nucleo valutativo che avrà il compito di verificare la qualità dell’insegnamento e il livello culturale degli studenti.

→ Queste le principali novità introdotte dalla riforma Moratti, recentemente approvata dal Senato e attualmente in discussione alla Camera dei Deputati. Occorre innanzitutto paragonare questa riforma con la Legge 30 (riforma Berlinguer) – che questa legge abroga – per comprenderne le differenze. • La Legge 30 prevedeva un obbligo scolastico di nove anni (dai sei ai quindici anni) mentre questa riforma eleva l’obbligo a 12 anni (dai sei ai diciotto anni). • La legge 30 era articolata in tre cicli: la scuola dell’infanzia (di tre anni, esterna all’obbligo scolastico); il ciclo primario, di sette anni complessivi uguali per tutti (dai sei ai tredici anni di età, una sorta di elementari e medie insieme); il ciclo secondario, che aveva durata quinquennale ed era diviso in sei diverse aree tematiche. I primi due anni del ciclo secondario concludevano l’obbligo scolastico, quindi lo studente poteva decidere se continuare la scuola oppure no. Per i successivi tre anni si apriva la possibilità di sostituire la scuola con stage professionali in Italia o all’estero. → Una delle principali critiche mosse alla riforma Moratti da parte della sinistra sta nel fatto che gli studenti vengono obbligati ad operare una scelta di campo tra licei e formazione professionale già a quattordici anni, ovvero a conclusione del primo ciclo. Tuttavia se si scorge la legge 30, che questi signori hanno sostenuto fortemente, ci si accorge che questa prevedeva la necessità di operare una scelta tra le diverse aree formative al tredicesimo anno d’età (all’inizio del ciclo secondario) e quindi un anno prima di quanto previsto dalla legge Moratti; → L’impostazione generale di questa riforma scongiura di fatto il maggiore pericolo individuato da Azione Studentesca nella “Riforma Berlinguer”, cioè la volontà di uniformare il livello culturale e educativo (intendendo per livello culturale e educativo non già la pari opportunità per tutti di raggiungere elevati livelli culturali e di conoscenza, assolutamente doverosa, ma la capacità di ogni singolo soggetto di portare alla massima espressione le proprie capacità ed attitudini) attraverso un’offerta formativa che poco spazio lascia allo sviluppo delle facoltà individuali. Tendenza, questa, figlia della dannosa impostazione che mira a distruggere, in nome dell’uguaglianza universale, le identità e le differenze, patrimonio, a nostro avviso, di inestimabile valore. Immaginare una scuola che intenda fornire a tutti pari opportunità formative e culturali per ottenere il massimo sviluppo possibile della personalità e delle competenze che verranno messe a disposizione della società, altro non rappresenta che il mantenimento di un filo conduttore con la grande tradizione culturale italiana. Già da tempo abbiamo contestato l’incapacità della scuola italiana, i cui programmi risalgono alla riforma Gentile, di raccordarsi con il mondo del lavoro, ed abbiamo rivendicato la necessità di una riforma profonda che fosse in grado di valorizzare, a fianco della tradizione culturale classica, la formazione necessaria all’inserimento professionale. La grande sfida che ci attende riguarda tuttavia la riforma dei programmi, ovvero il contenuto che andrà a riempire questo contenitore. Se è vero che la scuola italiana necessita di un maggiore raccordo con il mondo del lavoro altrettanto vero è che da sempre abbiamo considerato la scuola principalmente come il luogo dell’ “educazione”. In ogni sede auspicabile abbiamo dunque ribadito alcuni punti fermi senza i quali non condivideremmo l’impostazione generale data al nuovo sistema di istruzione: Uno studio mirato alla formazione professionale, soprattutto se intrapreso a 14 anni, non può prescindere dal mantenimento di un percorso di cultura generale necessario alla costruzione dell’uomo prima che del lavoratore, indispensabile all’educazione di cittadini maturi, consapevoli della propria identità, che abbiano capacità critica, versatilità, valori di riferimento. Questo perché la scuola deve anzitutto educare, poi insegnare, ma anche perché è principalmente attraverso l’istruzione che una nazione mantiene vive le proprie specificità e tradizioni. Se puntassimo alla costruzione di tecnici specializzati, privi di consapevolezza rispetto ai principi etici, morali, ai valori tradizionali - retaggio di una cultura millenaria - che regolano il funzionamento della società, non avremmo raggiunto l’obiettivo principale che la scuola deve porsi, cioè quello di crescere nuove generazioni di cittadini, una nuova classe dirigente che incarna il proprio passato per proiettarsi nel futuro. Partendo da queste riflessioni, riteniamo che il percorso di formazione professionale debba essere comunque accompagnato ad un percorso di cultura generale almeno fino ai 18 anni, e proponiamo l’insegnamento obbligatorio di materie che contribuiscano allo sviluppo di una cittadinanza matura, quali nozioni di diritto. Dunque una partita estremamente importante la si giocherà, all’indomani della votazione della legge in parlamento, sulla riforma dei programmi didattici, ovvero sul contenuto che andrà a riempire questo contenitore. E’ però interessante riportare alcune delle modifiche proposte di recente da Alleanza Nazionale e accolte dal Ministro Moratti, che riguardano le scuole elementari e medie. Le novità previste da An coinvolgono diverse materie d’insegnamento. Italiano: Le indicazioni nazionali contengono espliciti riferimenti, dalle elementari alle medie, allo studio della grammatica e della sintassi e all’esercizio dell’analisi logica. Inoltre, con il ritorno alla tradizione, i bambini dovranno imparare a memoria le poesie; le tecniche di memorizzazione dovranno essere affrontate già in seconda elementare. Storia: il cambiamento più significativo riguarda la scansione temporale della storia. An ha ottenuto, per le scuole medie, uno spazio maggiore per il Risorgimento e la formazione dello Stato Nazionale a scapito del Novecento. Importante anche l’introduzione alle elementari dello studio di miti e leggende, attraverso anche testi di mitologia ed epica, che serviranno a far conoscere ai bambini “personaggi evocativi di valori” e a proporre “una dimensione spirituale nella rivisitazione del passato al posto di una dimensione essenzialmente sociologica”. Latino: si riaffaccia nei programmi di italiano delle medie per aiutare i ragazzi a cogliere meglio la loro identità culturale. → La riforma Moratti scongiura quello snaturamento della scuola elementare e quello smembramento della scuola media fra primaria e secondaria superiore che costituivano uno degli obiettivi strategici della Riforma Berlinguer. E ai docenti che oggi protestano contro la sperimentazione avviata dal Ministero occorrerebbe ricordare che se la Legge 30 avesse avuto applicazione la loro situazione sarebbe stata decisamente peggiore. Basti pensare alla drastica contrazione degli organici derivante dalla riduzione da tredici a dodici anni del percorso scolastico e alla non facile convivenza di maestri e professori nella riformata scuola di base. → Un’altra critica che spesso viene mossa alla riforma riguarda il metodo e non il merito. In particolare gli studenti della sinistra hanno contestato alla Moratti la mancanza di un confronto con il mondo della scuola sul progetto di riforma. Mai critica è stata più strumentale. A tal proposito può servire conoscere il percorso che ha portato alla votazione in Consiglio dei Ministri della riforma in oggetto, e confrontarlo con il percorso della Legge 30, sul quale gli stessi cagnolini della sinistra si sono guardati bene dal lamentarsi. Tratto dal sito internet del Ministero – www.istruzione.it - il percorso del cambiamento Anno 2001 Luglio Commissione Bertagna Il Ministro affida a un gruppo di lavoro presieduto dal prof. Bertagna l'analisi del sistema educativo. Lo studio coinvolge attivamente l'intero mondo della scuola attraverso la costituzione di gruppi focus, seminari di produzione, analisi di caso, comparazioni internazionali Settembre Il viaggio del dialogo Il Ministro Letizia Moratti inizia il percorso di ascolto di studenti, famiglie e docenti della scuola italiana che la porta nei luoghi dell'educazione di eccellenza e della solidarietà in alcune regioni italiane Novembre Forum Verso gli Stati Generali Si apre sul sito www.istruzione.it il forum Verso gli Stati Generali che raccoglie preziosi contributi di quanti hanno a cuore il divenire del sistema scolastico Dicembre Stati Generali dell'Istruzione "Punto e a capo. Una scuola per crescere". E' questo il titolo dato agli Stati Generali, convocati dal ministro Letizia Moratti nei giorni 19 e 20 dicembre a Roma. All'ordine del giorno la proposta del Gruppo di Lavoro, presieduto dal professor Giuseppe Bertagna, che contiene ipotesi di revisione della legge 30/2000 per la riforma dell'ordinamento scolastico. Studenti e genitori, insegnanti e dirigenti scolastici sono chiamati a discuterle e a esprimersi su quali possano essere le strade da percorrere per modernizzare la scuola italiana e portarla al livello europeo. (Per gli studenti vengono chiamate ad intervenire tutte le associazioni facenti parte del Forum delle associazioni studentesche nonché i presidenti delle Consulte Provinciali di Roma e Milano) Forum degli Stati Generali Durante i lavori degli Stati Generali dell'Istruzione viene aperto sul sito www.istruzione.it il Forum degli Stati Generali per dar modo a studenti, genitori e docenti di contribuire al dibattito in diretta con la propria opinione sulla scuola che cambia Anno 2002 Marzo Consiglio dei Ministri approva il Disegno di legge delega 14 marzo: il Consiglio dei Ministri approva su proposta del Ministro Letizia Moratti, il Disegno di legge recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale Aprile Inizio esame del Ddl 1306 - VII^ Commissione Senato Il 9 aprile inizia l'esame del Disegno di Legge n.1306 nella Commissione VII^ del Senato Discorso del Sen. Asciutti, Presidente della VII^ Commissione del Senato e relatore del Disegno di Legge, 9 aprile 2002 Aprile-Maggio Progetto Pilota 1 - 2600 scuole (valutazione servizio scolastico) L'avvio del progetto di valutazione del sistema dell'istruzione (Progetto Pilota 1) coinvolge 2600 scuole Maggio Una scuola per crescere, opuscolo per famiglie e studenti 7 maggio: pubblicata una piccola guida per conoscere il disegno di legge sulla riforma degli ordinamenti scolastici L'opuscolo Una scuola per crescere, che si apre con una lettera del Ministro Letizia Moratti, alle famiglie, agli studenti e ai docenti, viene diffuso attraverso alcune importanti testate nazionali e direttamente nelle scuole Interventi del Ministro 15 maggio: Intervento del Ministro Letizia Moratti in VII^ Commissione - Senato Giugno Ragioni e sfide del cambiamento, opuscolo dedicato agli insegnanti 14 giugno: pubblicato l'opuscolo dedicato agli insegnanti Una scuola per crescere. Ragioni e sfide del cambiamento. Raccoglie norme, informazioni, dati, schede e tabelle del sistema scolastico italiano e dei cambiamenti già in corso, oltre al testo del disegno di legge delega in discussione al Senato Settembre Protocolli d'intesa MIUR - Regioni - Province Autonome sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di istruzione e di formazione Progetto nazionale di sperimentazione in 250 circoli 18 settembre: Decreto di attuazione del progetto nazionale di sperimentazione. Indicazioni e istruzioni 18 settembre: allegati al decreto di attuazione del progetto nazionale di sperimentazione 30 settembre: parte in 250 circoli la sperimentazione che si avvale anche del Progetto finanziario di supporto alla sperimentazione nelle scuole dell'infanzia e prima classe della scuola elementare (Lettera Circolare n. 119 del 31 ottobre 2002) Interventi del Ministro 17 settembre: Intervento del Ministro Letizia Moratti in VII^ Commissione - Senato 18 settembre: Intervento del Ministro Letizia Moratti in VII^ Commissione - Senato Ottobre ARAN: atto indirizzo per contrattazione collettiva nazionale personale scuola Atto di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale del personale del comparto scuola relativa al quadriennio 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003 Approvato Disegno di legge n.1306 - VII^ Commissione Senato 2 ottobre Disegno di Legge n.1306 approvato dalla VII^ Commissione del Senato Progetto Pilota 2 (valutazione servizio scolastico) 15 ottobre: Sistema Nazionale di Valutazione, parte il Progetto Pilota 2 per la valutazione del servizio scolastico (Nota Prot. n.17791 del 15 ottobre 2002) Novembre Interventi del Ministro 6 novembre: Intervento del Ministro Letizia Moratti nella seduta pubblica del 6 novembre al Senato Approvazione del Ddl 1306 - Assemblea Senato …Camera dei Deputati

A fronte di questo lungo percorso, occorre ricordare ai signorini della sinistra che mentre il Ministro Moratti utilizzò la sede degli Stati Generali – nella quale si discuteva non una riforma definita ma un documento di lavoro emendabile – per accogliere molte delle rivendicazioni di studenti, docenti e genitori, il Ministro Berlinguer si degnò di discutere la sua riforma con le associazioni studentesche solo quando la Legge 30 era già stata presentata in Consiglio dei Ministri. E nessuno – a parte noi – si lamentò allora… → Delle novità apportate dalla riforma non condividiamo la reintroduzione del voto di condotta. troppo spesso il cosiddetto “voto di condotta” è stato utilizzato dal corpo docente come strumento intimidatorio nei confronti degli studenti; si è in alcuni casi, arrivati all’aberrazione di punire attraverso il voto di condotta gli studenti che avevano idee, in particolare politiche, difformi da quelle dei docenti. La maturazione degli studenti viene valorizzata non già dall’utilizzo di strumenti repressivi, ma dalla capacità del corpo docente di comprendere il complesso mondo adolescenziale. → Ci trova invece completamente d’accordo - poiché risponde alla necessità di ottenere il massimo sviluppo per ognuno - la possibilità di predisporre piani di studio personalizzati (fermi restando gli insegnamenti obbligatori) che consentano una completa maturazione delle singole identità e specificità, anche attraverso il primato dei vincoli di risultato su quelli di percorso. → E’ utile notare come non vi sia discriminazione alcuna tra le due differenti scelte formative che gli studenti possono operare, ovvero licei e formazione professionale. I percorsi non mirano, come qualcuno strumentalmente sostiene, ad istituzionalizzare una scuola di serie A e una scuola di serie B. Basti considerare che dal sistema della formazione professionale, di durata quadriennale a fronte della durata quinquennale dei licei, si potrà accedere all’università sostenendo un anno di preparazione all’esame di stato, necessario per accedere all’Istruzione Superiore. Dunque non vi è alcuna discriminazione, ma il legittimo tentativo di creare un rapporto solido e concreto tra scuola e mondo del lavoro, creando figure professionali qualificate e consapevoli. → A dimostrazione di quanto sia strumentale la critica che la sinistra ha rivolto alla riforma Moratti, può essere utile leggere alcuni passi di un articolo comparso qualche mese fa sulla rivista Italianieuropei (periodico dell’omonima fondazione diretta da Giuliano Amato e Massimo D’Alema) a firma della diessina Claudia Mancina, esperta di scuola, che tra le altre cose scrive: “Le proposte del Governo Berlusconi non vengono sottoposte ad una critica specifica e articolata sulla base dell’effettivo contenuto ma combattute in modo generico, sulla base di luoghi comuni […] Il rischio è quello di fare solo propaganda: il genere meno efficace di opposizione” e ancora “La scelta politica dell’opposizione è stata di accogliere il progetto Bertagna come un attentato alla scuola pubblica, anche sotto l’influenza dei movimenti studenteschi e sindacali. […] Abbiamo così assistito a un singolare spettacolo: il centrosinistra che si lascia andare alle ‘leggende metropolitane’ come l’abolizione dell’educazione fisica, la riduzione delle ore di insegnamento per introdurre ore a pagamento e chi più ne ha più ne metta” e conclude “l’opposizione rinunciava, in nome della propaganda antiberlusconiana, alla sua vocazione riformista” . Parola di diessina. → In conclusione, riportiamo di seguito un interessante prospetto prodotto dal Ministero dell’Istruzione nel quale vengono brevemente riassunte alcune delle falsità più comuni che hanno accompagnato la Riforma.

La Parità scolastica

A chi cerca di accaparrarsi le simpatie degli studenti con slogan privi di contenuto sulla parità scolastica (del tipo “La riforma Moratti favorisce le private”) occorre ricordare che il finanziamento alle scuole non statali è stato previsto dal Governo D’Alema (Ministro De Mauro) con la Legge n. 62 del 10 marzo 2000. Attraverso questa Legge, della quale riportiamo il testo integrale, si adotta “un piano straordinario di finanziamento alle Regioni da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante l’assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione”. In sostanza viene concesso il famoso “buono scuola”.

Legge 10 Marzo 2000, n. 62 " Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2000 Art. 1.

  1. Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita.
  2. Si definiscono scuole paritarie, a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti, in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia di cui ai commi 4, 5 e 6.
  3. Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico. Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l'insegnamento è improntato ai princípi di libertà stabiliti dalla Costituzione. Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap. Il progetto educativo indica l'eventuale ispirazione di carattere culturale o religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l'adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa.
  4. La parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che, in possesso dei seguenti requisiti, si impegnano espressamente a dare attuazione a quanto previsto dai commi 2 e 3: a) un progetto educativo in armonia con i princípi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; b) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti; c) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; d) l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare; e) l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio; f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe; g) personale docente fornito del titolo di abilitazione; h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore.
  5. Le istituzioni di cui ai commi 2 e 3 sono soggette alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale di valutazione secondo gli standard stabiliti dagli ordinamenti vigenti. Tali istituzioni, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d'opera di personale fornito dei necessari requisiti.
  6. Il Ministero della pubblica istruzione accerta l'originario possesso e la permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità.
  7. Alle scuole non statali che non intendano chiedere il riconoscimento della parità, seguitano ad applicarsi le disposizioni di cui alla parte II, titolo VIII del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Allo scadere del terzo anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della pubblica istruzione presenta al Parlamento una relazione sul suo stato di attuazione e, con un proprio decreto, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, propone il definitivo superamento delle citate disposizioni del predetto testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, anche al fine di ricondurre tutte le scuole non statali nelle due tipologie delle scuole paritarie e delle scuole non paritarie.
  8. Alle scuole paritarie, senza fini di lucro, che abbiano i requisiti di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, è riconosciuto il trattamento fiscale previsto dallo stesso decreto legislativo n. 460 del 1997, e successive modificazioni.
  9. Al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all'istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie nell'adempimento dell'obbligo scolastico e nella successiva frequenza della scuola secondaria e nell'ambito dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 12, lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l'istruzione mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, emanato su proposta del Ministro della pubblica istruzione entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri per la ripartizione di tali somme tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e per l'individuazione dei beneficiari, in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie da determinare ai sensi dell'articolo 27 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, nonché le modalità per la fruizione dei benefici e per la indicazione del loro utilizzo.
  10. I soggetti aventi i requisiti individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 9 possono fruire della borsa di studio mediante detrazione di una somma equivalente dall'imposta lorda riferita all'anno in cui la spesa è stata sostenuta. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano le modalità con le quali sono annualmente comunicati al Ministero delle finanze e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica i dati relativi ai soggetti che intendono avvalersi della detrazione fiscale. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica provvede al corrispondente versamento delle somme occorrenti all'entrata del bilancio dello Stato a carico dell'ammontare complessivo delle somme stanziate ai sensi del comma 12.
  11. Tali interventi sono realizzati prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate. Restano fermi gli interventi di competenza di ciascuna regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di diritto allo studio.
  12. Per le finalità di cui ai commi 9, 10 e 11 è autorizzata la spesa di lire 250 miliardi per l'anno 2000 e di lire 300 miliardi annue a decorrere dall'anno 2001.
  13. A decorrere dall'esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, gli stanziamenti iscritti alle unità previsionali di base 3.1.2.1 e 10.1.2.1 dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione sono incrementati, rispettivamente, della somma di lire 60 miliardi per contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di lire 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato.
  14. È autorizzata, a decorrere dall'anno 2000, la spesa di lire 7 miliardi per assicurare gli interventi di sostegno previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, nelle istituzioni scolastiche che accolgono alunni con handicap.
  15. All'onere complessivo di lire 347 miliardi derivante dai commi 13 e 14 si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per gli anni 2000 e 2001 dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 1999, allo scopo parzialmente utilizzando quanto a lire 327 miliardi l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione e quanto a lire 20 miliardi l'accantonamento relativo al Ministero dei trasporti e della navigazione.
  16. All'onere derivante dall'attuazione dei commi 9, 10, 11 e 12, pari a lire 250 miliardi per l'anno 2000 e lire 300 miliardi per l'anno 2001, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per gli stessi anni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 1999, allo scopo parzialmente utilizzando quanto a lire 100 miliardi per l'anno 2000 e lire 70 miliardi per l'anno 2001 l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri, quanto a lire 100 miliardi per l'anno 2001 l'accantonamento relativo al Ministero dei trasporti e della navigazione, quanto a lire 150 miliardi per il 2000 e 130 miliardi per il 2001 l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione. A decorrere dall'anno 2002 si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
  17. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Il Governo Berlusconi non ha portato avanti alcuna ulteriore iniziativa di sostegno della scuola non statale. Per averne conferma basta considerare che la Legge Finanziaria 2001 (Governo D’Alema – Ministro dell’Istruzione De Mauro) stanziava per le scuole non statali 921 miliardi di vecchie lire, mentre la Legge Finanziaria 2002 (Governo Berlusconi – Ministro Moratti) stanziava 1021 miliardi di vecchie lire, ovvero appena 100 miliardi in più rispetto all’anno precedente che sono stati utilizzati: 1. per migliorare il sostegno ai portatori di handicap; 2. per sostenere economicamente le parifiche delle nuove classi elementari istituite in seguito all’introduzione della Riforma Berlinguer; 3.Aumentare i contributi per favorire la parificazione della scuola dell’infanzia. La Legge Finanziaria 2003 non si discosta dalle precedenti. Dunque, a chi sostiene strumentalmente pozioni tipo “Meno scuola pubblica” occorre sottoporre questi dati, che dimostrano l’esatto contrario.

Riforma degli Organi Collegiali Forum delle Associazioni Studentesche

Dopo anni di dibattiti e incontri, è stati finalmente istituito il Forum delle Associazioni Studentesche, che rappresenta un tavolo permanente di confronto tra il Ministero e le organizzazioni rappresentative degli studenti. Tale organismo nasce da una antica rivendicazione di Azione Studentesca, che fin dal 1993 propose il riconoscimento ministeriale delle ASR (Associazioni Studentesche Rappresentative). Dopo quasi 10 anni questa proposta è stata definitivamente accolta. Riportiamo qui il Decreto Ministeriale di costituzione del Forum emanato dal Ministro Moratti.

Decreto Ministeriale n.79 - Roma, 11 luglio 2002 IL MINISTRO Visti il DPR 10 ottobre 1996, n.567, modificato e integrato dal DPR 9 aprile 1999, n.156, e dal D.P.R. 13 febbraio 2001, n.105, con il quale è stato emanato il regolamento che disciplina le iniziative complementari e le attività integrative nelle istituzioni scolastiche; visto l'art.5 bis comma 1 del sopra richiamato regolamento il quale prevede che, "al fine di sostenere l'attività associativa degli studenti come forma di espressione e di rappresentanza autonoma e complementare a quella istituzionale, nonché di assicurare stabilità al dialogo ed al confronto con il mondo studentesco, è istituito con decreto del Ministro della pubblica istruzione il Forum nazionale delle associazioni studentesche maggiormente rappresentative, previ accordi con le associazioni medesime". visto il DPR 6 novembre 2000, n.347 recante il regolamento di organizzazione del Ministero della pubblica istruzione; visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 recante la riforma dell'organizzazione del Governo, modificato dal decreto legge 12 giugno 2001, n.134 convertito dalla legge 3 agosto 2001, n.317, in particolare gli articoli 49, 50 e 75; considerata l'esigenza di individuare con il presente decreto le associazioni che, per la loro rilevanza numerica, sono qualificabili come maggiormente rappresentative; previe intese con le associazioni di cui sopra;

DECRETA

Art. 1 E' istituito il Forum nazionale delle associazioni studentesche maggiormente rappresentative ai sensi dell'art. 5 bis comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1996, n.567, così come modificato ed integrato dal decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 1999, n. 156 e dal decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n.105. Il Forum ha sede presso il Dipartimento per i servizi nel territorio - Direzione generale per lo status dello studente, per le politiche giovanili e per le attività motorie.

Art. 2 Partecipano al Forum le associazioni studentesche di seguito denominate: Alternativa Studentesca, Azione Studentesca, Confederazione degli Studenti, Gioventù Studentesca, Liste per la Libertà della Scuola, Movimento Studenti di Azione Cattolica, Movimento Studenti Cattolici, Studenti.Net, Unione degli Studenti; Il Forum sarà integrato con le eventuali altre associazioni che verranno riconosciute maggiormente rappresentative a norma dell'art.5 del presente decreto.

Art. 3 Il Forum è composto da un massimo di tre rappresentanti di ciascuna delle associazioni che ne fanno parte. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca o un Suo delegato partecipa alle riunioni. Il Forum elegge all'inizio di ciascuna riunione un coordinatore. Il Forum si riunisce su richiesta del Ministro o di almeno due associazioni e comunque una volta ogni due mesi nel corso dell'anno scolastico. Il Forum si dota di un regolamento interno di organizzazione.

La Direzione generale per lo status dello studente, per le politiche giovanili e le attività motorie assicura il supporto organizzativo e di segreteria necessario per le attività previste dal presente decreto.

Art. 4 Il Forum delle associazioni studentesche ha i seguenti compiti: favorire il dialogo e il confronto fra il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca (di seguito denominato Ministero) e le realtà associative degli studenti; rappresentare le esigenze e formulare le proposte della componente studenti alle quali il Ministero si impegna a fornire, anche per iscritto, adeguate risposte entro 30 giorni; esprimere pareri sugli atti e sulle iniziative che il Ministro intende sottoporgli; esprimere, anche di propria iniziativa, pareri sui provvedimenti attinenti all'istruzione; essere sede di consultazione fra il Ministero e le associazioni studentesche sulle problematiche scolastiche.

Art. 5 Con successive disposizioni, da predisporre nelle prescritte forme regolamentari, si provvederà alla determinazione dei requisiti di ammissione e di partecipazione al Forum delle associazioni studentesche nonché delle relative modalità di accertamento.

→ Più complesso, invece, il percorso relativo al riordino degli organi collegiali. Per anni abbiamo rivendicato la necessità di procedere ad un ammodernamento degli organi di governo della scuola, in particolar modo a seguito dell’introduzione dell’autonomia scolastica, il cui governo risulta ancora affidato ad organismi costituiti negli anni 70, chiaramente inadatti a gestire i processi dell’autonomia. E’ opportuno ricordare – perché troppo spesso si fa confusione su questo passaggio – che la competenza degli organi collegiali riguarda il Parlamento Italiano e non il Ministero dell’Istruzione, che troppo spesso viene chiamato a rispondere di responsabilità che non gli appartengono. La Camera dei Deputati è attualmente impegnata nella discussione di alcune proposte di Legge di maggioranza ed opposizione. La commissione cultura, in particolar modo si è ampiamente confrontata durante lo scorso inverno sulle varie proposte di legge, senza trovare un accordo che permettesse la discussione in aula di un testo unanime che contenesse un accordo tra i partiti di maggioranza e opposizione. Così la commissione ha scelto come testo base per la discussione in aula la proposta n. 1186, presentata dai partiti della minoranza (che hanno però successivamente ritirato la sottoscrizione a questa proposta di legge), profondamente modificata da numerosi emendamenti che la hanno avvicinata alla proposta di Legge n. 2010, d’iniziativa della maggioranza di governo. Poiché il testo della proposta di legge emendata è irrintracciabile, riportiamo qui alcuni passaggi dell’intervento in commissione del relatore di maggioranza, che spiegano i presupposti e i contenuti della proposta. E’ importante sottolineare che non si tratta di una legge approvata ma solo di una legge in discussione.

Camera dei Deputati – VII Commissione – Discussione sulle linee generali - A.C. 1186

“Concluso l'esame preliminare delle abbinate proposte di legge, la Commissione ha proceduto alla costituzione di un Comitato ristretto cui è stato affidato il compito di svolgere i necessari approfondimenti conoscitivi e di definire il testo da assumere come testo base. Il Comitato ristretto in primo luogo ha proceduto allo svolgimento di un intenso programma di audizioni informali in cui sono state coinvolte tutte le principali organizzazioni sindacali della scuola, numerose associazioni professionali dei docenti e le più portanti associazioni di genitori e studenti, oltre ai rappresentanti delle regioni e degli enti locali. Concluso il ciclo di audizioni informali, in seno al Comitato ristretto si è aperto il confronto sulla definizione del testo da adottare come base. Nonostante l'emergere di alcuni significativi punti di convergenza e di mediazione, all'esito di tale confronto è prevalsa la considerazione della non conciliabilità delle posizioni della maggioranza e dell'opposizione su alcuni aspetti, limitati ma decisivi per l'intera impostazione della riforma (in primis il ruolo del dirigente scolastico all'interno del consiglio di istituto) e, quindi, si è dovuto prendere atto dell'impossibilità di giungere alla predisposizione di un testo unificato. Pertanto […] la Commissione ha deliberato di adottare come testo base la proposta di legge sulla quale verteva la richiesta dei gruppi di opposizione, ovvero la proposta n. 1186. L'adozione di tale proposta come base per il seguito dell'esame è quindi avvenuta in applicazione delle norme poste a tutela del diritto delle minoranze a concorrere nella definizione degli argomenti da trattare in Commissione ed in Assemblea, e non corrispondeva ad un'indicazione di maggiore condivisione dei suoi contenuti rispetto alle proposte di legge abbinate. Il vincolo relativo all'adozione del testo base non poneva d'altronde limiti formali al potere di emendazione del testo da parte della maggioranza, così com'è poi effettivamente avvenuto tramite l'approvazione di una serie di emendamenti che hanno profondamente modificato il testo della proposta di legge n. 1186 avvicinandolo sostanzialmente a quello della proposta n. 2010, benché permanga una serie di significative differenze scaturite a seguito del dibattito in seno al Comitato ristretto ed all'accoglimento di alcune osservazioni, anche dei rappresentanti dei gruppi di opposizione. Esso si basa sull'assunto di fondo che il nuovo assetto degli organi di governo delle istituzioni scolastiche debba valorizzare l'autonomia ad esse attribuita sulla base di un ristretto nucleo di disposizioni generali, valide sull'intero territorio nazionale e per tutti gli ordini e i gradi di scuole, cui si affiancano alcune disposizioni di principio che le regioni e le singole scuole potranno attuare secondo le rispettive e differenziate esigenze e competenze. Nell'impostazione proposta, la nuova disciplina ridefinisce la composizione, le funzioni e i poteri degli organi delle istituzioni scolastiche autonome sulla base dei criteri di libertà, semplicità e responsabilità, lasciando peraltro alle singole istituzioni ampio spazio per esercitare la propria autonomia tramite l'apposito regolamento della scuola e le altre competenze attribuite ai diversi organi. L'articolo 1 stabilisce i principi generali cui si ispira l'intervento legislativo. Sono, in primo luogo, individuati i soggetti che concorrono al governo delle istituzioni scolastiche e il rapporto tra norme statali, potestà legislativa delle regioni e autonomia delle istituzioni scolastiche. Assai rilevanti sono i principi fissati dal comma 4, che richiama, tra l'altro, la necessità di valorizzare la funzione educativa dei docenti, il diritto all'apprendimento e alla partecipazione degli studenti, la libertà di scelta dei genitori e il patto educativo tra famiglie e docenti. L'articolo 2 individua gli organi di governo delle istituzioni scolastiche, oggetto dei successivi articoli, ivi compreso il dirigente scolastico, i cui compiti essenziali, definiti dalla legislazione vigente, sono richiamati all'articolo 3. L'articolo 4 disciplina le competenze fondamentali del consiglio della scuola, che è organo di indirizzo e programmazione delle attività dell'istituzione scolastica. Tra i compiti più rilevanti ad esso attribuiti si possono segnalare, oltre all'approvazione del bilancio, la deliberazione del regolamento della scuola - cui è demandata la definizione della maggior parte degli aspetti attinenti al funzionamento dell'istituzione stessa - e l'approvazione di eventuali accordi tra la scuola e soggetti esterni. Il piano dell'offerta formativa è, invece, predisposto dal collegio dei docenti e sottoposto all'adozione del consiglio della scuola, al fine di verificarne la rispondenza agli indirizzi generali e alle compatibilità rispetto alle risorse umane e finanziarie disponibili. La composizione del consiglio della scuola è oggetto dell'articolo 5, che fissa in undici il numero dei componenti. Oltre al dirigente scolastico ed al direttore dei servizi generali e amministrativi - che assumono la carica di presidente e di segretario del consiglio - ne fanno parte in primo luogo i rappresentanti dei docenti, dei genitori e, nella scuola secondaria superiore, degli studenti. Il numero di tali rappresentanti è di tre genitori, tre docenti e due studenti nelle secondarie superiori, cinque genitori e tre docenti nelle altre scuole. Si prevede, inoltre, che faccia parte del consiglio anche un rappresentante dell'ente locale tenuto per legge alla fornitura dell'edificio. Con disposizione innovativa si prevede poi che il genitore che ha ottenuto più voti assuma la funzione di garante dell'utenza. Questi, tramite strumenti quali risoluzioni o documenti di altra natura, è chiamato a rappresentare in via continuativa il punto di vista e le esigenze degli utenti del servizio scolastico. Il garante, inoltre, presiede il nucleo di valutazione del servizio disciplinato dall'articolo 9. L'articolo 6 definisce i compiti del collegio dei docenti, cui sono attribuite le funzioni di indirizzo, programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative, provvedendo in particolare all'elaborazione del piano dell'offerta formativa. Il collegio, che è presieduto dal dirigente, potrà liberamente definire le forme di articolazione interna che parranno ad esso necessarie per il migliore svolgimento delle proprie funzioni. L'articolo 7 demanda al regolamento della scuola la definizione delle sedi collegiali e delle modalità con cui i docenti procedono alla valutazione periodica e finale degli alunni. L'articolo 8 stabilisce, in via di principio, che le istituzioni scolastiche debbono valorizzare la partecipazione degli studenti e dei genitori alle attività della scuola, demandando, ancora una volta, al regolamento della scuola le forme attraverso le quali tale partecipazione si realizza. È, inoltre, esteso ai genitori il diritto di riunione e di assemblea già previsto per gli studenti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998. L'articolo 9 istituisce, presso ciascuna scuola, un nucleo di valutazione del funzionamento dell'istituto. Tale organismo, di cui fanno parte il garante dell'utenza, che lo presiede, un docente ed un esperto esterno, ha il compito di valutare l'efficienza e l'efficacia del servizio scolastico, anche alla luce delle priorità fissate dall'istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione. L'articolo 10, inserito in recepimento del parere della Commissione bilancio, dispone che dall'attuazione della legge in discussione non debbano derivare oneri per il bilancio dello Stato. Infine, l'articolo 11 reca l'abrogazione delle norme del testo unico relative ai previgenti organi collegiali delle scuole. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di relatore del provvedimento vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi sulle riflessioni politiche che hanno guidato l'azione della maggioranza parlamentare nel disegno dei nuovi organi di governo delle istituzioni scolastiche. Il modello immaginato prevede che accanto ad una figura caricata di importanti responsabilità di gestione e coordinamento (il dirigente scolastico) si collochi un organismo di indirizzo e programmazione altrettanto forte (il consiglio della scuola) al cui interno la componente dell'utenza, soprattutto quella di genitori e studenti, è significativamente valorizzata. Al loro fianco c'è il collegio dei docenti dotato delle prerogative, competenze didattiche ed articolazioni organizzative prima elencate. Il nucleo di valutazione del servizio e gli organi di valutazione collegiale degli alunni completano questo sistema orizzontale, ma diversificato nell'attribuzione delle responsabilità. Infatti, tutti gli organi di governo interagiscono e cooperano all'insegna di quell'obiettivo di riconduzione della responsabilità in capo al soggetto che la detiene, obiettivo tante volte invocato e raramente raggiunto nella vita della scuola e di ogni altra istituzione pubblica. Peraltro, la scelta di assegnare la presidenza del consiglio al dirigente non smentisce, a nostro avviso, l'impostazione della proposta di legge stessa i cui principi ispiratori si riassumono nel tentativo di conciliare positivamente la riconduzione delle responsabilità e le garanzie di rappresentanza. Il garante dell'utenza, ossia di tutte le componenti della vita scolastica, rappresenta in questo senso una sorta di contraltare alla figura del dirigente scolastico e delle forti competenze che, come ricordato, la legislazione gli affida. Quella del garante è una figura, peraltro, del tutto innovativa nell'ordinamento scolastico e la scelta di affidare questo ruolo delicato ad un genitore è un segnale, non solo simbolico, della volontà di superare l'ostacolo della fievole partecipazione delle famiglie alla vita della scuola”.

Rispetto a questo dibattito Azione Studentesca rivendica la necessità di prevedere la paritetica rappresentanza studenti – docenti nei consigli di ogni ordine e grado e la costituzione obbligatoria del comitato studentesco all’interno di ogni singola scuola. A tal proposito, per favorire un maggiore raccordo tra i rappresentanti degli studenti nei consigli di scuola e il comitato studentesco, proponiamo la costituzione di un nuovo organismo di sintesi denominato “La Comunità Studentesca”, che riportiamo qui di seguito.

“La Comunità Studentesca”

La proposta di Azione Studentesca riguarda l’istituzione obbligatoria all’interno delle singole scuole della “Comunità Studentesca”, organo rappresentativo di tutti gli studenti della scuola. Tale organo viene composto da due rappresentanti per ogni classe (i due candidati che abbiano raggiunto il maggior numero di voti di preferenza all’interno della propria classe di appartenenza). Il Governo dell’Assemblea viene affidato ad un Presidente e due Vice Presidenti, di cui uno vicario, che fanno parte di diritto del Consiglio di Scuola. L’elezione del Presidente e dei vicepresidenti può essere effettuata secondo due diversi criteri: Il Criterio della elezione diretta, per il quale nell’ambito dell’elezione dei rappresentanti in seno alla Comunità Studentesca, gli studenti di ogni classe sono chiamati ad esprimersi anche sul presidente dello stesso organo. In questo caso il metodo elettorale utilizzato è una sostanziale riproposizione, adattata, della metodologia utilizzata per l’elezione delle componenti in seno ai consigli d’istituto, regolamentata dal Testo Unico n. 297/94 in materia di istruzione. La elezione del Presidente e dei Vice Presidenti della Comunità Studentesca ha luogo con il sistema proporzionale sulla base di liste di candidati. Il candidato che abbia ottenuto il maggior numero di voti di preferenza coprirà la carica di Presidente, e con lo stesso metodo verranno eletti, a seguire, il Vice Presidente Vicario ed il Vice Presidente. Le liste dei candidati sono contrassegnate da un numero progressivo riflettente l’ordine di presentazione. Nessun elettore può concorrere alla presentazione di più di una lista; nessun candidato può essere incluso in più liste né può presentarne alcuna; La presentazione delle liste e le modalità della campagna elettorale vengono regolamentate dalla normativa vigente, pena annullamento della consultazione elettorale. Ciascuna lista può comprendere un numero di candidati sino al doppio del numero dei rappresentanti da eleggere (sei candidati). Ogni elettore può esprimere il proprio voto di preferenza per un solo candidato. Il voto è personale, libero e segreto.

Il Criterio della elezione per delegati, per il quale Presidente e Vice Presidenti vengono eletti all’interno della Comunità Studentesca dai membri della stessa, secondo il criterio del maggior numero di voti di preferenza ottenuti (Il candidato che abbia ottenuto il maggior numero di voti di preferenza coprirà la carica di Presidente, e con lo stesso metodo verranno eletti, a seguire, il Vice Presidente Vicario ed il Vice Presidente). Nel caso di due candidati che abbiano raggiunto il medesimo numero di consensi, verrà nominato il candidato più anziano. La Comunità Studentesca viene rinnovata all’inizio di ogni anno scolastico. La Comunità Studentesca, in rapporto con gli organi di governo dell’istituzione scolastica, formula proposte e pareri sulle tematiche che riguardano direttamente o indirettamente gli studenti. Essa, tramite i suoi rappresentanti nel Consiglio di Scuola:  Formula proposte relativamente alle attività integrative previste dal DPR 567/96  Organizza e promuove, in accordo con il Consiglio di Scuola, iniziative finalizzate all’aggregazione ed alla formazione culturale in ambito extracurricolare  Esprime pareri sul regolamento di istituto  Esprime pareri sui libri di testo in fase di adozione  Stabilisce, sentito il parere del Consiglio di Scuola, le tematiche sviluppate nelle assemblee studentesche  Promuove attività e iniziative finalizzate alla promozione della partecipazione degli studenti alla vita della scuola

Edilizia Scolastica

→ Attualmente in Italia esistono circa 10.800 istituzioni scolastiche, articolate su 41.700 edifici, per un’utenza complessiva di più di 9 milioni di interessati tra studenti e personale scolastico. → Recentemente il MIUR ha effettuato un monitoraggio sugli esiti del Decreto Legislativo 626/94 (con il quale il Governo recepiva otto direttive emanate dalla Comunità Economica Europea finalizzate a promuovere e migliorare la sicurezza sul posto di lavoro). Tale monitoraggio è stato effettuato attraverso quesiti sottoposti alle singole scuole, e pertanto l’intero studio si fonda sulla presumibile veridicità delle risposte. Il monitoraggio ha coinvolto 9728 scuole su 10824, hanno dunque risposto alle domande l’88,60% delle scuole statali italiane, per un totale di 37083 edifici scolastici su 41328, ossia l’89,73% delle strutture (ogni istituzione scolastica può avere più edifici, le cosiddette succursali, quindi il numero delle istituzioni scolastiche non coincide con quello degli edifici scolastici). Ben 480 dirigenti scolastici, innanzitutto, non hanno ancora provveduto a rilevare, come previsto dalla Legge 265/99, i rischi presenti nella loro istituzione scolastica. Dunque 714 scuole (7,45%) sono prive di un documento di valutazione dei rischi. Negli ultimi 5 anni sono stati realizzati interventi di manutenzione su 8560 (89,26%) scuole; tuttavia ben 9257 (96,53%) scuole hanno fatto esplicita richiesta di intervento da parte degli enti locali e solo il 58,72% sono state soddisfatte. In particolare le richieste riguardano le scale di sicurezza (36,96%), le porte antipanico (20,65%), gli impianti elettrici (36,10%), le barriere architettoniche (29,67%). Senza tenere conto dell’assenza del certificato di agibilità (57,02%), del certificato di agibilità igienico sanitaria (57,35%), del certificato prevenzioni incendi (73,21%). → Secondo un recente appello di Comuni e Province (ai quali è stata trasferita la competenza in materia di fornitura, costruzione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici con la Legge n. 23 del gennaio 1996) il fabbisogno finanziario necessario per rendere “europee” le nostre scuole ammonterebbe a circa tre miliardi di Euro (pari a circa sei mila miliardi di vecchie lire), mentre lo scorso anno il CISEM ha quantificato come necessari per la sola norma delle scuole da parte degli enti locali circa 8000 miliardi di vecchie lire. → Bisogna inoltre tenere conto che è fissato al 31 dicembre 2004 il termine ultimo fissato per la messa a norma degli edifici secondo quanto previsto dalla legge sulla sicurezza (varata nel 1990 doveva essere attuata entro il marzo 1993, ma da allora i Governi hanno deciso uno slittamento dietro l’altro. In tutto sei rinvii, ultimo dei quali è stato voluto dall’attuale Governo). Due anni di tempo, dopodiché se non saranno stati effettuati gli interventi previsti dalla legge molte scuole potrebbero venire dichiarate “fuorilegge”. → La Legge n. 23/96 (legge quadro sull’edilizia scolastica) attribuisce a Comuni e Province la competenza in materia di fornitura, costruzione e manutenzione ordinaria e straordinaria (compresi l’adeguamento e la messa a norma) degli edifici adibiti ad uso scolastico, nell’ambito di piani triennali di intervento predisposti dalle rispettive Regioni. Essa, però – al fine di consentire un’idonea programmazione ed un miglioramento generalizzato dell’edilizia scolastica in ambito nazionale – prevede anche un sostegno da parte dello Stato attraverso l’assegnazione alle Regioni di appositi finanziamenti che esse a loro volta ripartiscono nel proprio ambito tra i competenti Enti Locali. Questa Legge è stata finanziata fino al 2000. Nell’ultima finanziaria del Governo D’Alema, così come nella prima finanziaria del Governo Berlusconi non una lira è stata prevista a sostegno dell’edilizia scolastica, mentre la Finanziaria 2003 sembra voler prevedere un finanziamento della Legge con la somma – a dire la verità un po’ esigua – di 10 milioni di Euro.

Azione Studentesca si batte da sempre perché agli studenti venga garantito il diritto a “frequentare ambienti salubri e sicuri” sancito dallo statuto dei diritti e dei doveri degli studenti. Rivendichiamo la necessità che lo Stato investa somme ingenti nell’edilizia scolastica da sempre, e non consideriamo affatto sufficiente la somma che il Governo intende destinare alle scuole. E’ interessante – e lo sosteniamo – l’emendamento che Alleanza Nazionale ha presentato al senato e che prevede un aumento sulle sigarette, il cui ricavato deve essere investito nell’edilizia, nella ricerca, nelle università. Ne riportiamo il testo integrale, nella speranza che venga approvato.

Emendamento ART. 5

Aggiungere, infine, il seguente articolo: “Articolo 5-bis

A decorrere dall’anno 2003 è istituita una addizionale sull’accisa sui tabacchi lavorati, pari al 20% dell’aliquota di base sul prezzo al pubblico, il cui gettito è destinato:

a) per il 10% ad interventi di edilizia scolastica, secondo criteri e priorità definiti da appositi accordi in Conferenza Unificata Stato – Regioni e Stato – Città, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera a) del decreto legislativo 28 Agosto 1997, n. 281; b) per il 13% ad incremento del Fondo per gli investimenti istituito nello stato di previsione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ai sensi dell’articolo 46, comma 1, della Legge 28 dicembre 2001, n- 448 – U.P.B.2.1.2.1. – cap. 2300 – ricerca scientifica; c) per il 29% ad incremento del Fondo agevolazioni per la ricerca di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297; d) per il 20% al Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; e) per il 3% al rimborso, secondo i criteri e le modalità fissati nella contrattazione integrativa, delle spese di aggiornamento, debitamente documentate, sostenute dai docenti della scuola; f) per il 25% ad incremento del Fondo per gli investimenti istituito nello stato di previsione del Ministero della salute ai sensi dell’articolo 46, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 – U.P.B.2.1.2.1. – cap. 2300 – ricerca scientifica.”

D’iniziativa dei senatori di Alleanza Nazionale.

LE PROPOSTE DI AZIONE STUDENTESCA

Abolizione del libro di testo obbligatorio Azione Studentesca si batte da diversi anni, oltre che per l'istituzione del comodato dei libri di testo, per l’abolizione del libro di testo obbligatorio, per due ordini di motivi: uno di tipo economico e l'altro di tipo culturale. Quello di tipo economico è facilmente deducibile: permettere ad ogni studente di scegliere il libro su cui studiare significherebbe spezzare la catena “truffaldina” che parte dall’autore del libro e arriva fino al rivenditore. Il motivo di tipo culturale dipende dal fatto che la cultura propinata nelle scuole italiane è a dir poco scadente e, comunque, decisamente faziosa. La stragrande maggioranza dei libri di storia, ad esempio, ha raccontato i trascorsi del nostro paese solo in un senso, tralasciando consapevolmente e colpevolmente di approfondire le reali cause di interi avvenimenti storici. Se a tutto ciò si aggiunge l’effettiva esiguità dell’offerta culturale e la difficoltà di immissione nel mercato di nuovi testi, di nuovi autori e di nuove conoscenze, il panorama tracciato è a dir poco allarmante. Chiediamo pertanto:  che gli studenti e le famiglie possano scegliere liberamente i libri sui quali studiare. In questo modo si favorirebbe una cultura basata sul confronto. Per evitare possibili indecisioni da porte degli studenti si potrebbe comunque istituire un libro guida scelto dal docente e acquistato dalla scuola stessa.  che il parere degli studenti in merito alla scelta dei libri in consiglio di classe sia vincolante.  di studiare forme di incentivazione per autori che intendessero elaborare nuovi libri di testo e/o sussidiari monotematici da immettere nel circuito dell’istruzione pubblica e/o da distribuire gratuitamente alle famiglie, prevedendo anche l’approfondimento delle origini storico-culturali delle regioni di appartenenza, delle province e delle città, con lo scopo di radicare una specifica conoscenza e un conseguente senso di appartenenza

Riforma dei CIC

L’apertura degli istituti il pomeriggio, lo svolgimento delle attività più disparate dallo sport all’arte, l’incontro tra i giovani, danno un ruolo determinante alla scuola nella crescita di un adolescente. Di contro svariate indagini sociologiche evidenziano la fragilità emotiva e di personalità nei ragazzi tra i 15 ed i 20 anni. Diffusione di sostanze stupefacenti a livelli di vera e propria emergenza sociale, disturbi dell’alimentazione a livelli allarmanti, suicidi in crescita, abuso di alcool sono spie di un evidente grande disagio tra le giovani generazioni. Poiché un ragazzo passerà sempre più tempo a contatto con le istituzioni scolastiche, in orario didattico o extracurricolare, e sempre meno a contatto con la famiglia che assolve sempre più a fatica il suo ruolo naturale - a causa degli orari lavorativi dei genitori, per separazioni e divorzi, per media che lanciano messaggi sempre meno educativi - è quindi nella scuola che si dovrà aiutare l’adolescente a vivere. La legge 162/90 ha istituito i C.I.C. (Centri Informazione e Consulenza) come luogo all’interno degli Istituti per prevenire il disagio giovanile ed indirizzare, soprattutto nelle attività pomeridiane, le problematiche degli studenti verso un approccio sano ed una loro risoluzione. Dopo più di dieci anni possiamo sancirne il fallimento. Laddove sono stati realizzati, hanno mostrato tutti i loro limiti. Al di là dei problemi strutturali, il vero punto debole sta nel lasciare ad un docente della scuola stessa l’organizzazione dello spazio e la sua gestione. Il problema principale è il seguente: quale studente andrebbe a raccontare i suoi problemi, le sue devianze, ad una persona che magari l’ora successiva potrebbe trovare in cattedra in classe, o che potrebbe incontrare i genitori per illustrare il profitto del ragazzo? L’insuccesso dei CIC è fondamentalmente tutto qui. In altre scuole si è provato a dare uno spazio ad uno psicologo o ad operatori del SERT, per superare la difficoltà degli studenti. Il più delle volte quella stanza è rimasta malinconicamente vuota, perché nessuno voleva recarsi da uno ”strizzacervelli”. Tutto ciò non vuol dire che non si debba intervenire o che ciò che è stato messo in piedi sia una esperienza da buttare via totalmente. A tale proposito si inserisce l’esperienza portata avanti dalla Amministrazione Provinciale di Roma che, intuendo i limiti dei CIC, ha dato vita ad un’esperienza diversa, ma molto significativa. Ha affidato la gestione di uno sportello al servizio dei giovani all’interno delle scuole ad una Associazione che negli Istituti ricavava uno spazio per tre volte alla settimana per una psicologa e, con l’accordo dei Presidi, un intervento di due ore in ogni classe di operatori specializzati sulle tossicodipendenze e situazioni connesse. La psicologa, giovane, che sapeva parlare ed ascoltare il linguaggio degli adolescenti, rimaneva il punto di riferimento dopo il passaggio degli operatori anch’essi abituati a stare in mezzo ai ragazzi e quindi a passare due ore con loro senza trasformare l’incontro in una noiosa lezione sulle droghe. I risultati sono stati esaltanti. In alcune scuole, pure laddove erano presenti i CIC od altre figure professionali, gli studenti facevano la fila per parlare con le psicologhe, che si facevano coinvolgere nel vissuto giovanile a ricreazione e in momenti appositamente fissati per tali incontri. Questa ci sembra essere l’esperienza da portare avanti. Non possiamo continuare a lasciare una generazione da sola. L’ecstasy del sabato sera, l’anoressia, l’abuso di alcool, sono delle richieste di aiuto che i più giovani ci lanciano. Un Ministero della Pubblica Istruzione non può rimanere indifferente a tali problematiche.

Le nostre proposte sono:

  1. riformare i CIC dando in affidamento il servizio a delle Associazioni, Cooperative e Comunità di recupero con provato curriculum in questo campo;
  2. istituire presso il Ministero un albo dei soggetti in grado di svolgere tale servizio osservandone la compatibilità con le finalità che il Ministero stesso si pone (esempio: se il Governo è contrario alla legalizzazione delle droghe leggere, non potrà affidare il servizio ad una Associazione che ritiene invece tale liberalizzazione possibile);
  3. istituire nell’orario scolastico il tempo e lo spazio per interventi diretti nelle classi di esperti che sappiano “agganciare” gli studenti, senza paternali, ramanzine o lezioni a tema.

“Cartattiva”: la cd card delle opportunità

Per costruire un circuito integrato di informazioni, opportunità e servizi, è importante realizzare un “pacchetto giovani”, attraverso protocolli d’intesa o vere e proprie convenzioni con i privati e le associazioni che si occupano di cultura, musica, sport e tempo libero. A sostegno delle iniziative e degli spazi disponibili per le associazioni culturali operanti nel settore è necessario dare una svolta alla cultura del tempo libero, promuovendo un accesso a costo ridotto per i giovani. I prezzi dei cinema, dei cd, delle discoteche, dei musei, dei teatri e di tutte le attività gestite da circuiti pubblici e privati (ivi compresi e di fondamentale importanza i trasporti pubblici) devono essere coinvolti in una sorta di maxi protocollo, con il quale offrire ad ogni giovane che entra in contatto con il portale, attraverso la cd card, un codice personale che gli permetta di accedere alla tariffa promozionale per tutte le strutture convenzionate. Sarebbe una vera rivoluzione copernicana nel rapporto tra il Governo, le associazioni culturali e i giovani in genere. Il Governo diviene promotore di servizi, cultura e tempo libero, e smette di essere l’antagonista o nel migliore dei casi l’istituzione fredda, burocratica e distante dalla percezione dei giovani. La novità, in termini di immagine e comunicazione, nel rapporto tra istituzione e giovani consiste nella cd card. Un supporto multimediale, un cd rom con le dimensioni di una carta di credito, che permette di registrare siti, immagini, filmati, musica. Uno strumento innovativo che viene utilizzato solo in ambiti professionali e commerciali ma mai istituzionali. Il governo italiano sarebbe, pertanto, il primo a realizzare un simile progetto usando il linguaggio dei nuovi media molto più diretto di qualsiasi altro supporto cartaceo. La cd card conterrebbe un portale istituzionale a cui ci si collega direttamente una volta inserita in un computer dotato di accesso internet impostato. Sulla cd card si potrebbe registrare l’animazione a fumetti delle principali innovazioni legislative e ogni altra informazione utile, magari riguardante la formazione professionale, l’orientamento universitario e post-universitario, i bandi di concorso per entrare a far parte delle Forze Armate o della Pubblica Amministrazione, ecc... In particolare la cd card servirebbe a concretizzare il progetto del “pacchetto giovani” permettendo l’attribuzione di una e-mail e un codice personale per accedere al circuito commerciale della cultura e del tempo libero con tariffe ridotte. Questo progetto può rappresentare una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra giovani e istituzioni.

Caro ministro Moratti,

è passato un annetto scolastico tondo tondo dal suo insediamento, e mi sarebbe sembrato poco cortese lasciare trascorrere tanta ricorrenza senza neppure un cenno. So bene che il destino delle lettere rivolte a qualsivoglia istituzione pubblica (e massime di quelle indirizzate a’ superni) è, per solito, quello di venir appallottolate da qualche zelante usciere, che se ne vale, dipoi, per esercitare il polso al tiro da tre punti, nel cestino della mondezza; tuttavia, fidando nel fatto che questa letteruzza compare su di una rivista né ultima né mignola quanto a lettori (e, soprattutto, ad elettori), ho la vanità di credere che, se anco non la leggerà, qualche succedaneo gliela zufolerà all’orecchio, come arietta del Salieri. Veda, ministro, io sono un insegnante: un insegnante bassamente degenere, di quelli che fanno la vergogna dell’istituzione che lei tanto bravamente timona. La mia innata furbizia di profittatore e di peculatore, fin dagli inizi della mia trascurabile carriera, m’ha permesso di capire il machiavello utile a valersi della scuola senza ch’essa, del pari, si valesse di me: la circolare diceva bianco? Io facevo nero! La circolare diceva: ferma? Ed io andavo! Diceva: vai? E io mi fermavo! Insomma, per farla breve, mi sono attenuto, per dieci lunghi anni, esattamente al contrario di quanto mi si ingiungeva di fare dal dicastero che oggi è di sua pertinenza. Incredibilmente, non solo nessuno se n’è mai accorto, ma io, ad onta dei miei molti demeriti, sono stato additato a modello di efficienza, di capacità e, incredibile a dirsi, di solerzia nell’ottemperare alle millanta astruserie che si sono scaricate nei miei cassetti dalle eccelse sedi ministeriali. Ho vinto un concorso ordinario senza aprire un solo libro, e divertendomi, per soprammercato, come un pazzo, alle domande che mi venivano poste da quattro disperati, che sognavano soltanto di tornare sotto l’ombrellone in qualche lido adriatico: o io sono un genio, del che dubito forte, o il concorso era avanspettacolo puro! Ciò non avvenne in oscuri penetrali, in qualche isola camorristica o mafiosa, sibbene nella sua Milano, dalle parti di Lambrate. In seguito, trascorsi il mio anno di formazione litigando con un fesso che millantava se essere il mio tutor, ma che, in realtà, confondeva la pace di Lodi con la battaglia di Pavia: lo ignorai finchè mi fu possibile, dopodichè lo minacciai di quattro sganassoni se avesse continuato a seguire la mia ombra. Nella mia relazione, sottoposta alla commissione di valutazione, scrissi che erano tutti una manica di deficienti, a partire dal figuro sopraddetto, fino ad arrivare al Provveditore agli studi: la commissione abbozzò, ed io entrai in ruolo fra sorrisi e strette di mano. Il corso di formazione mise in luce una mia preoccupante tendenza alla polemica (che forse avrà avuto anche lei modo di notare), che mi portò a fare fuggire in lacrime una signora che aveva cercato di spiegarmi come relazionarmi con i miei futuri alunni, sciorinando una sequenza di insulse formule statunitensi, da fare impallidire Malcolm X. Il corso si concluse senza ulteriori drammi: della signora non seppi più nulla. Scelsi una scuola professionale: dopo avere insegnato tre anni al liceo classico, non ne potevo più di ariovisti che passano il Reno e di corinne che si scoprono cornute. Volevo stare col popolo, per il popolo: accidenti, trasudavo destra sociale da tutti i pori, porca miseria! Il popolo, per la verità, non era mica tanto male: anzi, a tutta prima non ci trovai delle grosse differenze col resto del mondo che avevo conosciuto fino ad allora. Erano gli insegnanti che facevano paura! Dapprima (si sa, agli inizi, anche Napoleone se ne stava in disparte), cercai di assimilare i loro usi e costumi; ma, dopo un po’, cominciai ad accorgermi che le cose che dicevano e facevano erano animate da una assoluta vanità concretizzante: per dirla piatta, producevano soltanto vuoto, vuoto torricelliano, pneumaticissimo, assoluto vuoto. Cominciai, allora, la mia personalissima guerra partigiana. Quanto più mi si mandava a corsi superspecialistici sulla didattica della storia (sa, io sarei un storico, nel tempo libero), tanto più, dopo aver dato ragione in tutto ai relatori ed essere entrato in rapporti amicali con loro, insegnavo esattamente alla rovescia di come essiloro suggerivano: e questi, non soltanto non se ne avvedevano, tutti presi dalla contemplazione delle proprie vantardigie, ma, addirittura, mi invitavano a mantenere i contatti, a sviluppare la rete, a creare laboratori di storia (intesi alla loro bischerrima maniera, cela va sans dire) in giro per l’Italia. Io, satanico, dicevo sì, sì, ma certo: annuivo estatico alle loro spampanatissime aberrazioni sulla storia particolare e la storia generale, sulla storia settoriale e la storia materiale; sì, sì, dicevo, e pensavo: stai fresco! E, infatti, ho sempre fatto l’esatto opposto di quel che quei soloni dicevano essere la panacea per la disastrata ottima massima delle disastratissime discipline scolastiche: vale a dire la storia, giustappunto. Mi guardai bene dall’eliminare la storia generale: evitai con cura di trasformare le mie lezioni in un sermone monomaniacale su risibili aspetti dell’utilizzo di questo o di quel legume attraverso i millenni; raccontai, raccontai: dissi di Roma e di Atene, e di ciò che fu bello e grande di loro, e delle torri merlate in cima e delle belle pietre da taglio, di che fecero cattedrali e masti i nostri primi. Altro che storia della patata o del telaio meccanico! Se dicevano: il ‘900 è secolo breve, brevissimo, anzi, io lo facevo lungo come un brodo di magro. E se ragghiavano di rivoluzioni francesi di che tutti scenderemmo, io dicevo che, semmai, noi scendiamo dalle crociate e dalla rinascenza e da messer Lionardo da Vinci, che si sarebbe messo in tasca tutti gli enciclopedisti di Franza, quasi fossero un sacchetto di assabesi! I giovani, così maldestramente tirati su, pervennero ad esami, e li passarono; altri ne vennero, e , sebbene cresciuti in maniera così ereticale, seppero, e dissero, e pure li passarono, ‘sti esami maledetti. E i genitori plaudivano: ah, finalmente uno che fa il suo mestiere! Plaudivano pure gli studenti, stufi di fare e rifare sempre le solite due frescacce: cinque anni per imparare che i giacobini erano i buoni e i vandeani i cattivi mi paiono un pochino troppi! Tutti contenti, insomma. Io, frattanto, mi domandavo: è mai possibile che niuno tra cotesti gran professori, che vengono a far da commissari ai nostri esami, si sia mai accorto del machiavello? Macchè: scotevano il capoccione, beati, ed annuivano. Più io facevo l’esatto contrario del dettato circolariale, più annuivano. Così, è andata avanti dieci anni la mia recita secreta: oggi però voglio proprio scaricarmi la coscienza, così, alla buona, proprio davanti a lei, signor ministro, che dovrei chiamare ministra come fa il TG3, ma giuro che proprio non mi viene. Ho peccato, ministro, e nemmeno in buona fede: ho peccato sapendo di peccare e volendo peccare: ho creduto più al mio buon senso che a quello dei nomoteti dell’istruzione pubblica. Ho visto che, seguendo la linea ministeriale, le cose andavano sempre peggio, e ho fatto la mia piccola, modestissima rivoluzione personale; anzi, per dirla con Prezzolini (conosce Prezzolini?), personalistica: una volta c’era qualcuno che diceva che la rivoluzione è come il vento…nel mio caso si è trattato, al massimo, di una brezzolina. Non ho fatto grossi danni: qualche studente che da un istituto alberghiero si è iscritto alla facoltà di storia e viaggia a colpi di trenta, qualche altro che ha deciso di andare a lavorare all’estero, molti diplomati, qualche laureato. Tuttavia, per inaugurare degnamente le magnifiche sorti e progressive che, a quanto pare, tardano un tantino a mostrarsi, ma che, sono certo, il suo mandato recherà al Paese tutto, nel breve volgere di una legislatura, sono pronto a fare penitenza. Così, signor ministro Moratti, le comunico di essere disponibilissimo a rientrare nel solco provvidamente tracciato da codesto ministero che lei, benignamente, dirige: una sola cosa le chiedo, in cambio di una mia apostasia che più completa non potrebbe essere. Mi dia una sola valida ragione per pensare che, nel mondo della scuola, dopo un anno di centrodestra, qualcosa sia cambiato, a parte la faccia del ministro. Sa, qui da noi non è che sia cambiato poi tanto. Anzi, a dire il vero, non è cambiato un bel niente: intelligenti pauca.

La confessione-choc di Camilleri: «Montalbano è un po’ fascista. Come me»

(dal Secolo d'Italia, 14 marzo) «Tutti cusì siete voiauti communisti, meglio il partito che la verità e l’amicizia!». Ecco qua, parola di Sciascia. Per la precisione in faccia all’amico Camilleri, che di comunismo se ne intende, come sanno tutti. Fino a ieri, però, di tutti questi tutti nessuno sapeva che anche di fascismo si intende il papà del commissario Montalbano. E non per sentito dire o per dire diretto, per così dire, ma proprio per conoscenza profonda, come solo un fascista potrebbe. Perché la moda dell’outing ormai impazza, e anche il più feroce antiberlusca della Sicilia letteraria ha voluto svelare un passato un dì scabroso: suo padre era un fascista “antemarcia”. Ma non solo: «Io ero nei Guf. Simpatizzavo per Berto Ricci e il fascismo di sinistra». “Mizzica!” abbiamo pensato leggendo l’intervista sul Corriere della Sera del 13 marzo, “proprio come noi! Allora mica diventeremo communisti anche noiauti, tra quant’anni?”. Grazie a Dio, siamo adulti e vaccinati e soprattutto per niente necrofili, quindi tenderemmo ad escludere l’eventualità. Leggendo le continue esternazioni di Andrea Camilleri, c’eravamo costruiti l’immagine di uno Scaramouche dell’antifascismo della prima ora… in una famiglia di communisti del primo sciopero… perseguitati e orgogliosamente vittime. E invece… Invece ad ogni domanda del Cazzullo (Aldo) scoprivamo l’inimmaginabile. Scoprivamo che a Porto Empedocle papà Camilleri passava «con manganello, fez e camicia nera (…) era il capo. Partecipò alla Marcia su Roma. Dopo divenne segretario del fascio della sua città». E non solo! Il giovane Andrea scriveva in un giornaletto degli universitari fascisti, fascista convinto finché un vescovo non gli fece l’annunciazione: “In verità, in verità sei comunista!” (con una “m” sola, perché gli era piemontese). E lui rimase stupefatto, perché, come ci rivela, non aveva ancora letto un libro di Malraux che gli avrebbe cambiato la vita. E proprio l’unico comunista in buona fede, doveva andare a leggersi… Eretico comunque, ché troppo vicino all’ortodossia era ancora il Camilleri, per sdirazzare con un communista a grana grossa. Da quel momento in poi fu tutta una corsa senza ostacoli. E oggi che i quant’anni passati sono abbastanza, Camilleri fa lui l’annunciazione a noi: fascista, fui, figlio di fascista. Ecco qua, come tanti altri prima, in questi ultimi tempi, con la celebrità ormai messa in banca può finalmente riconciliarsi con papà e tirare fuori “le vergogne” senza mostrar rossori. Fino a qualche tempo fa, dopo il fascismo gli italiani raddoppiarono di numero, perché prima tutti erano fascisti e, dopo, altrettanti tutti erano sempre stati anti. Adesso si scopre quello che era normale fosse: c’era il fascismo, eravamo fascisti. Prima lo dicevano solo le persone coraggiose. Ora lo confessano quasi tutti. E come la prenderà Luca Zingaretti, antifascista da sempre e perfetto Montalbano televisivo? Perché siccome il commissario Montalbano, come ha detto la moglie del communista Camilleri, è per tre quarti suo papà fascista, sotto la giacca televisiva del communista Zingaretti si nascondono almeno tre quarti di camicia nera. Non vorremmo essere nei suoi panni, in queste ore. Anzi, magari sì: quasi quasi diventiamo suoi fan anche noi… E se fossimo ancora perfidi fascisti, penseremmo perfidamente che quest’outing, a Camilleri, ha portato un bel mazzo di lettori in più.

La “destra sublime” di Pasolini

Pier Paolo Pasolini è stato studiato da molti punti di vista, mettendo in risalto ora la produzione poetica, ora la prosa e la saggistica, ora la cinematografia e l’impegno politico nel leggere il suo tempo. Ma il suo teatro è stato in genere ritenuto dalla critica qualcosa di minore. Stefano Casi, che fin da giovanissimo ha fatto del poeta di Casarsa la sua luce, si propone in questo appassionato volume (I teatri di Pasolini - introduzione di Luca Ronconi - Ubulibri - pp. 320 - 26 euro) di sradicare tale interpretazione, mettendo in evidenza la centralità del teatro nel pensiero e nell’opera dello scrittore, partendo dall’adolescenza friulana vissuta alla ricerca di una drammaturgia sperimentale e di una lingua nuova che la potesse reggere. Ma il rapporto che lo lega al mondo delle scene - costellato di entusiasmi e ripensamenti, di slanci e momenti di rifiuto - continuerà per tutta la vita, e lo condurrà negli anni romani a tradurre l’Orestiade, a scrivere manifesti, a ideare canzoni cabaret per Laura Betti. E verranno quindi le sei “tragedie borghesi”, che per le tematiche scabrose e autobiografiche, la denuncia impietosa dei perversi meccanismi della società e l’innovativo uso del verso fanno di Pasolini uno degli autori italiani più rappresentati in Europa e in patria dopo Pirandello. Questo approccio rivoluzionario, condotto con un’analisi puntuale e rigorosa che tende a riscoprire tracce di teatralità anche nel resto del corpus pasoliniano, porta il lettore all’interno del percorso a tappe che dai timidi esperimenti degli inizi arriva fino alle scelte radicali della maturità, quando il poeta percepisce la necessità di “gettare il proprio corpo nella lotta”. In una singolare assonanza col futurismo, Pasolini stabilì le linee teoriche del suo teatro nel ’68 con un manifesto esaltato e scandaloso, in stile prettamente marinettiano, dal titolo Manifesto per un nuovo teatro. Non c’è folgorazione visiva nella sua vocazione teatrale, né fascino per l’azione scenica: per lui il teatro sta tutto nello spazio dove autore, attore e spettatore ribadiscono le loro identità attraverso il confronto diretto; infatti si interroga anche sull’identità del proprio pubblico, individuandolo come un pubblico di intellettuali borghesi. Esilarante il comma del manifesto, che impone il pagamento di un biglietto a prezzo raddoppiato per le signore in pelliccia, mentre “per i fascisti sotto i 25 anni l’ingresso è gratuito”. Il teatro di parola teorizzato da Pasolini si caratterizza per l’assenza quasi totale di azione scenica - è un teatro in versi (a volte anche in dialetto) che voleva tornare a quell’intimità col pubblico propria del teatro della democrazia ateniese, scavalcando così il vuoto artificio sia del teatro tradizionale che del teatro d’avanguardia dell’epoca. Possiamo considerare Bestia da stile come l’esito più compiuto del teatro pasoliniano: è una sorta di autobiografia, di testamento, dove lo stesso autore si schiera in prima linea rivelandosi in questa anti-narrazione abitata da un universo di morti, che vede nella primavera di Praga la fine del comunismo. Tuttavia l’elemento più interessante è il finale, comprendente la poesia Saluto e augurio. è opportuno riflettere sul contenuto di questi versi, i quali citano e in un certo senso rifanno e mimano i Cantos di Ezra Pound, in particolare il Canto 76 che per Pasolini aveva “l’effetto di una droga”. Questo poemetto (già contenuto in La meglio gioventù e poi rielaborato in La nuova gioventù) serve da monologo finale al protagonista del dramma il quale, come ergendosi sulle macerie del comunismo e davanti all’incombente disastro del consumismo globale, si rivolge a un giovane fascista. Gli suggerisce quale dovrebbe essere la vera destra e la chiama “destra sublime”, una destra che inglobi una serie di valori, temi, amori, rimpianti, che in fondo valgono per tutti e che usiamo chiamare “tradizione”. Ma per chi si definisce progressista e democratico e vuole andare avanti, questi problemi sono una sorta di “pesante fardello” come dice il protagonista, che quindi lo scarica sulle spalle di un giovane dicendo: cambia il tuo modo di essere fascista, ascolta gli umili, lotta per preservare la tradizione che muore, abbandona l’arroganza ignorante della destra di oggi, imponi uno stile alla tua indole impetuosa. E con questi versi chiarifica finalmente l’enigma del suo coinvolgimento con la cultura di discendenza fascista: Destra sublime, che è in tutti noi, “rapporto di intimità col potere”. L’ottimo saggio di Stefano Casi, esaustivo e definitivo, è il degno coronamento delle intensissime celebrazioni per il trentennale della morte del grande poeta, che negli ultimi anni è stato anche uno degli autori più rappresentati nei teatri italiani, non solo di ricerca; e non si può non interpretare questa tendenza come uno dei tanti segnali di ripulsa nei confronti dell’ultramodernità degenerata che stiamo vivendo. La sua fascinazione quasi morbosa per il mondo premoderno, la sua tensione poetica verso una purezza arcaica non può non coinvolgere chi, come noi, sta vivendo in pieno nell’orrendo universo della democrazia mediatica e consumista. Pasolini, come gli altri veri grandi autori del ’900 (in particolare il suo maestro Ezra Pound e il suo “fratello d’oriente” Yukio Mishima) aveva capito che la modernità non va combattuta soltanto con le armi giocattolo dell’arte d’avanguardia: è necessario indossare la lucente corazza della Tradizione.

Nelle primarie dei lettori stravinciamo noi

Tratto da AREA - Una volta Bettino Craxi disse che in Italia, se si voleva evitare di fare una cosa, bastava creare una commissione parlamentare per farla. Vedi le riforme: nessuna commissione ne è venuta a capo. Lo stesso per la verità sulle stragi (anche se in questo caso, qualche velo si comincia faticosamente a strappare…). Idem per la lotta alla mafia. Sicché, allo stesso modo, se si vuole difendere una cultura minoritaria, basta accusare quella avversaria di avere truccato le carte, infliggendo agli italiani decenni di imperio editoriale, baronal-universitario, cattedratico, mediatico, cinematografico.

Ma è bastato un caso letterario come il successo dell’ultimo romanzo di Pietrangelo Buttafuoco (Le uova del drago) per smontare questo castello alibistico. Bastava solo essere bravi e geniali per corrodere dall’interno l’impero egemonico della sinistra, oppure quello di Buttafuoco è solo un episodio isolato destinato a non fare tendenza?

A parte il bizantinismo implicito in un interrogativo del genere, va detto che sarebbe meglio per tutti - anziché avvilupparsi in disquisizioni del genere - contribuire ciascuno per le proprie capacità a determinare operazioni culturali che lasciano un’impronta piuttosto che alimentare il piagnisteo sul ghetto culturale cui la destra sarebbe condannata dai cattivi censori di sinistra.

Ci sono tuttavia alcune considerazioni che vale la pena di fare: la destra, tanto per dirne una, non è capace di “fare rete”. Ci sono le intelligenze, ci sono le idee, ci sono anche gli strumenti, ma manca l’organizzazione e il ghetto immaginario diventa un limbo consolatorio dove sfogare frustrazioni, mancati riconoscimenti, attese insoddisfatte. La presunta egemonia dell’avversario diviene una scusa facile da opporre alla propria incapacità propositiva.

In un’epoca in cui tutto viene consumato a ritmi frenetici - anche i libri, anche i film, anche le opinioni giornalistiche - certi dibattiti rischiano di sembrare anacronistici prima ancora di cominciare a parlarne.

Da anni la sinistra non è più una categoria culturale capace di ispirare qualcosa di degno di nota, da anni essa è scaduta ad incarnare stanchi atteggiamenti vagamente progressisti e politicamente corretti. Di contro la destra, anziché inserirsi in modo vitale e creativo nel vuoto creato dalla noia che il pubblico ha cominciato a dimostrare per questa tendenza, ha pensato che la strada fosse quella di sostituire al ceto intellettuale riconducibile alla sinistra un altro gruppo aspirante all’egemonia, distribuendo prebende, pennacchi, ruoli istituzionali in Rai (per alcuni, anzi, ha fatto tutto questo con eccessiva ritrosìa e con troppa timidezza) con il risultato di favorire solo le carriere di singoli, magari pure meritevoli, ma senza invertire alcuna tendenza, senza “fare” opinione e soprattutto senza avere un progetto superiore da consolidare.

Si è anche, parallelamente, commesso l’errore di credere che cultura e politica potessero viaggiare all’unisono mentre non sempre i tempi della prima sono armonizzabili coi tempi della seconda e viceversa. In questo modo si è arrivati a visioni paradossalmente strabiche, per cui si è pensato che a un governo di centrodestra dovesse corrispondere una circolazione di idee capace di dare sostanza a una cultura di destra mentre, al limite, è vero il contrario.

Quando la destra diventa egemone in termini di consenso, è evidente che per reazione c’è un rafforzamento delle identità e delle culture avversarie, che sono motivate a rimettersi alla prova. E, al contrario, quando è la sinistra a uscire vincitrice dalle urne, lo stesso fenomeno si ravvisa sul fronte opposto.

Tuttavia, a destra, o in quell’universo di autori, miti, ideali e suggestioni che comunemente si riconduce alla destra, persiste il limite della mancanza di strutture, dell’individualismo, del fai-da-te, dell’approssimazione, della ricerca di legittimazioni “esterne”, della mancanza di autocritica e, a volte, della provocazione fine a se stessa.

Circostanze che determinano una carenza propulsiva tale da far pensare che successi come quello dell’opera prima di Buttafuoco siano appunto irripetibili, casuali, inaspettati. Magari è così, magari invece il pubblico ha premiato la trasgressione autentica, l’idea che non sempre è necessario compiacere la tendenza di mercato per farsi leggere.

E da sinistra non ci sono stati solo applausi: non a caso il manifesto ha fatto notare che non era il caso di elogiare troppo il romanzo fascista scritto da un fascista non pentito. Inutile richiamo alla purezza della critica antifascista. Inutile perché appunto il vento è cambiato e un rovesciamento di significati è in atto. C’è avidità di conoscere le verità sepolte, non dette, oscurate. Per il mercato editoriale è solo un altro filone da sfruttare per fini commerciali, per la destra è un’occasione da non perdere. E rimuginando sull’egemonia altrui si guarderà solo scorrere l’ennesimo treno senza riuscire a fermarlo, né a fargli prendere un’altra direzione, né tantomeno a salirci sopra.

Da anni ci ripetiamo tra di noi che occorre liberarsi dell’atavico complesso di inferiorità che affligge la destra. Un atteggiamento mentale che non a torto Marco Tarchi individuava come componente essenziale dell’identità “nostalgica” della destra missina, nata come comunità di destino separata dal mondo. Che sia facile o difficile sottrarsi a questa tentazione, va detto che nella cultura di destra ci sono tendenze che marciano separatamente. Lo notava anni fa sulla Stampa Michele Perreira, in un articolo significativamente intitolato “Cultura di destra, sfida per il governo”. Era il 2002. Perreira notava l’esistenza di due vocazioni culturali nel centrodestra: “La prima”, spiegava, “predilige una cultura raffinata, complessa e profonda, dalla sinistra incautamente definita irrazionale, che è stata ed è ricca di sollecitazioni immaginative, psicologiche ed estetiche. La seconda vocazione del centrodestra è invece perdutamente sensibile alla sottocultura retorica, semplicistica e bacchettona. Mi domando allora: sarà il sottobosco intellettuale a dilagare nella cultura italiana o sarà piuttosto il pensiero più sottile ed esoterico ad avere la meglio? Se prevarrà la prima di queste due alternative (il trionfo del sottobosco) il livello della cultura italiana subirà un disastroso tracollo e saremo invasi dalla enfatica seriosità o dal culto accorato del cattivo gusto. Se prevarrà invece la seconda alternativa (la cultura più complessa ed esoterica) il centrodestra potrebbe dare una scossa alla sonnolenta e vanagloriosa cultura italiana più diffusa”.

Intanto si potrebbe evitare di cedere al “sottobosco”, alle facili dicotomie che anziché vitalizzare la cultura italiana la appiattiscono su schemi irrealistici: Occidente contro Islam, McDonald’s contro centri sociali, polizia contro no global, anticomunismo contro antifascismo, italiani contro immigrati, preti contro laici, feltrismo contro scalfarismo, efficientismo contro sindacalismo.

Liberati dagli “ismi”, qualunque sfida diventa più abbordabile, e infinitamente più avvincente.

"Libri e liberi", ancora una volta una sfida sociale... e culturale

Le piccole conquiste di libertà avvengono ogni giorno, con sacrificio. E questa è una di quelle. Ma procediamo per gradi. Lo strapotere culturale-educativo della sinistra e dell’intellighenzia progressista in generale è divenuto ormai quasi un motivo retorico che in molti avallano, forse per stanchezza o, come si dice, per sfinimento e al quale nessuno fa più caso, certamente, per colpevole arrendevolezza. La capacità di insinuarsi nei canali, minori o principali, del sapere e dell’insegnamento dell’educazione e della cultura delle loro dottrine è oramai noto. Ti accompagnano dagli anni più belli delle scuole elementari con i loro sussidiari nascostamente “a senso unico” fino agli anni più difficili dell’università con i loro manuali pseudo-rivelati, non dimenticando certo la tappa importante delle scuole superiori, anni centrali nello sviluppo delle coscienze e che pertanto rappresenta terreno fertile per la semina del loro pensiero. E’ storia vecchia quanto il mondo; riempiono le caselle strategiche del panorama sociale e culturale, e allora te li ritrovi seduti in cattedra che rimpiangono quel “fumo” di speranza che a dir loro aleggiava nell’indimenticabile sessantotto, te li ritrovi che firmano fondi ed editoriali nei maggiori quotidiani, te li ritrovi naturalmente in televisione ed immancabilmente nel mondo della solidarietà, del volontariato e dell’associazionismo. Sono i padri del libro di testo obbligatorio, gli illuminati del sapere unico. “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” recita categoricamente la costituzione italiana. Magari! Ci permettiamo di aggiungere noi. Come fa ad essere libera un’arte che nella migliore delle ipotesi è utilizzata come sponsor o come testimonial principale di certe correnti politiche, per non dire partitocratriche, e nella peggiore rappresenta il maggior veicolo di diffusione, neanche tanto nascosto, di quella cultura che pretende di porsi come assoluta? Come fa ad essere libera un’arte che produce film o musica o qualsivoglia altra cosa per protezione anche e soprattutto economica? La maggioranza degli artisti di oggi è simile ai poeti di corte di ieri che cantavano le bellezze e le virtù dei loro padroni-protettori. Libero ed asservito sono per definizione inconciliabili. Come fa ad essere libera una scienza che pilotata dal progressismo intellettuale non è in grado di individuare il proprio limite? Il catastrofico risultato del recente referendum sulla procreazione assistita ha perlomeno fatto giustizia in questo senso. Un discorso a parte merita l’insegnamento e il monopolio culturale che esso, come dire, si tira dietro. Quella del libro di testo obbligatorio è, bisogna ammetterlo, la loro più grande e riuscita invenzione. Educarli sin da piccoli, per poi controllarli da grandi è il motto che accompagna da sempre il loro concetto di libero insegnamento. Un esempio su tutti, quello dei manuali universitari, credo sia illuminante. L’insegnamento universitario ed il metodo di studio che ad esso si accompagna sono indicati da sempre come esempio maggiore di libertà e di autoregolamentazione. Diciamocelo chiaramente, l’università italiana è il tempio della libertà: libertà nella scelta delle facoltà, libertà nella scelta del percorso formativo, libertà nella scelta dell’appello a cui presentarsi per sostenere l’esame, libertà, soprattutto, nella scelta del manuale su cui prepararsi. Basta aprire un qualsiasi ordine degli studi di una qualsiasi università italiana e trovare accanto al programma sovente anche un lungo elenco di testi “consigliati” su cui effettuare la preparazione della materia. Che meraviglia, altro che indottrinamento, questo è un segno tangibile di civiltà. Ma…, c’è un ma. Le cose nonostante le apparenze non stanno esattamente in questi termini. Dietro la formula “testi consigliati” risiede un inganno più grande di quanto non sembri. Il fatto è che nella stragrande maggioranza dei casi gli autori dei manuali sono gli stessi professori universitari e tra i testi indicati come consigliati, naturalmente, essi occupano la prima posizione, con l’aggravante che il programma d’esame è spesso accompagnato dalla dicitura: ferma la possibilità di scelta del testo su cui preparare l’esame, il corso rispecchia l’andamento del manuale…e di seguito l’indicazione di quello scritto dal professore. Si aggiunga poi il fatto che ove non vi sia tale esplicita menzione lo studente è naturalmente portato ad adottare il libro del suo professore, visto che è lui che lo ha scritto e visto ancor di più che è a lui che si deve rispondere all’esame. E allora, dove sta la libertà? Tutto ciò che è consigliato (rectius, vivamente consigliato!) non è mai libero, è sempre e comunque indotto e lo studente un po’ impreparato e un po’ impaurito è una facile preda. Una facile preda di questo sistema, di questa egemonia culturale che purtroppo non è più solamente tale. E no, perché è insieme egemonia culturale ed economica, quanto di peggio questo mondo possa produrre. Culturale perché questi neo illuministi, ma sarebbe meglio dire illuminati, pretendono di essere depositari dell’intero e giusto sapere, la loro è la vera cultura, come solo la loro è la vera “questione morale” che recentemente è tornata a riempire gli spazi della cronaca politica. Ma è anche e ancor di più spietato calcolo economico, tornaconto monetario, un modo di agire in chiaro conflitto con la dottrina “purista” e appunto da manuale di “questione morale” che sembrano professare. Le figure dei direttori artistici, dei responsabili culturali etcetera sono il prodotto di questo sistema dove si seleziona ciò che è degno di essere conosciuto da ciò che va evitato o peggio celato, soffocato. Una conoscienza indotta, organizzata, selezionata, al solo fine di far mantenere intatto un monopolio culturale che si traduce di fatto in potere economico e politico. Dove risiedono allora le nostre colpe? Molto probabilmente in quel senso di appagamento che suscita in noi, magari, la vittoria di qualche battaglia minore. Mi spiego. L’aver ottenuto, dopo secoli di silenzio, che nelle scuole si studiassero anche le “foibe” non è un punto d’arrivo, ma certamente uno di partenza. Sembra, e dico questo a malincuore, che la nostra rivolta scolastica e culturale inizi e finisca li, da quelle piccole battaglie vinte che però non rappresentano, come si dice, la vittoria di una guerra. Non solo. Quel senso di vittimismo buonista ha portato, esempio tra tanti, in periodo di governo di centrodestra, alla nomina di presidenti della Rai tutti dichiaratamente avversi e culturalmente distanti e che di certo non porteranno mai acqua al nostro mulino. Ma non basta; non si vede perché, ad esempio, la terza rete nazionale si trovi sempre ad essere orientata in certo modo, e questo indipendentemente dal governo in carica…come dire, Rai Tre “spetta” a voi perché oggi governiamo noi, domani visto che governate voi…voi siete responsabili delle varie spartizioni di potere, per cui la direzione di Rai Ttre è senza dubbio vostra. Misteri dell’alternanza. Non basta ancora. Vi siete mai domandati come mai l’ottantacinque percento dei quotidiani nazionali è inquadrabile nell’ambito del centrosinistra, alla faccia di ogni pluralismo culturale? Semplice, perché controllando il potere economico fondano o comprano i quotidiani e ogni “scalata” di segno contrario alla loro è apostrofata come immorale…ma questa è un’altra storia. Potere economico che si fonda con quello culturale, puro dirigismo educativo, una bomba! Ma dicevamo delle piccole conquiste di libertà. Si fa apprezzare per sensibilità, oltre che per il successo che riscuote, un’interessante iniziativa messa in campo dalla federazione provinciale di alleanza nazionale di Rieti, “a guida” destra sociale, unitamente al circolo “Oltrelinea” e all’impegno dell’associazione culturale Area di Rieti. Questi sono, infatti, gli ideatori e gli organizzatori del mercato del libro per le scuole medie e superiori che, giunto alla sua nona edizione, è oramai divenuto un appuntamento fisso prima dell’inizio dell’anno scolastico. Quale il senso vero di questa iniziativa? Naturalmente combattere il caro libri, ma non solo. L’obbiettivo è, se possibile, ancora più alto: “il mercatino – spiega il presidente di Area Rieti, Roberto D’Angeli – è un mezzo per lanciare un messaggio in difesa della libertà degli studenti di scegliere i propri libri di testo. La nostra meta è l’abolizione del manuale obbligatorio, miriamo ad ottenere che ognuno raggiunga la libertà di adottare il testo che riterrà più adatto, obbligando così le case editrici, che oggi attraverso una sorta di cartello impongono prezzi esagerati, a dover attrarre la clientela con sconti e prodotti di qualità”. “Alleanza nazionale – ci tiene a sottolineare il presidente provinciale Chicco Costini – dimostra ancora una volta la sua vocazione sociale, rispondendo, con questo servizio, ad una necessità e ad una richiesta dei cittadini. Oggi grazie al lavoro e all’impegno del presidente del circolo Oltrelinea Claudio Miliardi e della responsabile Paola Francia, riusciamo a coprire e servire l’intero territorio provinciale ma auspichiamo che la nostra iniziativa possa essere estesa anche al di fuori”. Un successo enorme, nessuno scopo economico e soprattutto nessun profitto da dover forzatamente realizzare. Il guadagno è comunque ugualmente elevato e cioè l’aver contribuito, con questa battaglia al cammino verso la libertà. Abbattere un potere economico al fine di liberare e sdoganare la cultura e l’insegnamento, il più classico dei “due piccioni con una fava”. Altro che “commercio equo e solidale”o “l’altro mercato”, frammenti di capitalismo che accompagnano da sempre l’ideologia marxista… dalla destra sociale ancora una volta una buona iniziativa. Complimenti.